Guido di Montfort
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Guido di Montfort (Guy de Montfort) (1244 - 1288) fu un condottiero inglese, figlio di Simone di Montfort il vecchio, sesto signore di Leicester e Eleanora d'Inghilterra.
Partecipò alla Battaglia di Evesham contro le forze reali di suo zio il re Enrico III d'Inghilterra e suo cugino il Principe Edorado, durante la quale sia suo padre che suo fratello maggiore vennero uccisi e i loro corpi vennero vilipesi venendo trascinati nel fango, a punizione della loro ribellione. Anche Guido venne ferito e fatto prigioniero.
Fu rinchiuso nel Castello di Windsor fino alla primavera del 1266 quando corruppe i suoi guardiani e riuscì a fuggire in Francia, dove si ricongiunse alla sua famiglia in esilio. Con suo fratello Simone di Montfort si spotò per l'Europa partecipando a varie campagne militari.
Entrò la servizio di Carlo d'Angiò quando fu Vicario in Toscana e qui sposò una nobildonna fiorentina, Margherita Aldobranderschi, dalla quale ebbe due figlie:
- Anastasia, sposata a Romano Orsini
- Tomasina, sposata a Pietro Vico
Viene ricordato come a Firenze firmò la crudelke condanna contro due dei figli di Farinata degli Uberti, perseguitati perché ghibellini.
Per il valore dimostrato nella Battaglia di Alba ebbe come premio il feudo di Nola dall'Angiò.
Nel 1271 Guido e Simone vennero a sapere che loro cugino Enrico di Cornovaglia si trovava a Viterbo. Essi si diressero subito verso la città laziale desiderosi di vendicare l'offesa subita dalla loro famiglia durante la sconfitta a Evesham.
Appena lo trovarono, durante la messa nella chiesa di San Silvestro, sguainarono le spade e lo uccisero mentre egli si aggrappava all'altare chiedendo pietà. All'efferato omicidio assistettero impotenti il Re Filippo III di Francia e Carlo d'Angiò stesso, forse complice del suo vassallo.
Non fu punito per l'omicidio, ma venne scomunicato dal papa per aver consumato un così efferato delitto in un luogo consacrato. Dante Alighieri lo collocò tra gli assassini nel VII cerchio, immerso fino alle spalle nel sangue bollente del Flegetonte, isolato rispetto agli altri dannati per la ripugnanza della sua crudeltà.
Per citarlo Dante non usa nemmeno il suo nome, ma fa un'articolata perifrasi:
«Colui fesse in grembo a Dio / lo cor che 'n su Tamisi ancor si cola»
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(Inf. XII 119-120)
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Si deve intendere come colui che durante una funzione religiosa trafisse il cuore che ancora sul Tamigi è venerato (secondo l'iatliano antico) oppure cola perchè non vendicato (secondo i chiosatori moderni). Giovanni Villani infatti riportava come il cuore di Enrico fosse stato posto in un'urna dorata sul Ponte di Londra.
Dopo la scomunica si rifugiò in Maremma presso suo suocero il conte Ildebrandino degli Aldobrandeschi. Venne assolto più tardi della scomunica e tornò in servizio dell'Angiò. Fatto prigioniero dagli Aragonesi nella Guerra del Vespro morì in prigione a Messina nel 1291.
[modifica] Bibliografia
- Maddicott, J.R. Simon de Montfont, 1996