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Catastrofe della Val di Stava - Wikipedia

Catastrofe della Val di Stava

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

La valle dopo il disastro
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La valle dopo il disastro

La catastrofe della Val di Stava si verificò il 19 luglio 1985 quando i bacini di decantazione della miniera di Prestavel ruppero gli argini scaricando 160.000 m³ di fango sull'abitato di Stava, piccola frazione del comune di Tesero, provocando la morte di 268 persone. È tristemente famosa per essere stata una delle più grandi tragedie che abbia colpito il Trentino in epoca moderna.

Indice

[modifica] La miniera

[modifica] La miniera di Prestavel

È situata sulle pendici del monte Prestavel nel massiccio di Santa sovrastante la valle di Stava. Venne sfruttata in modo saltuario fin dal XVI secolo per la produzione di galena argentifera. Nel 1934 venne accertato l'interesse estrattivo di alcuni filoni di fluorite. Venne gestita dopo la seconda guerra mondiale dalla società Montecatini, alla quale subentrarono fino al 1978 società del gruppo Montedison e quindi dei gruppi Egam ed Eni. Dal 1980 al 1985 fu gestita dalla società Prealpi mineraria.

[modifica] La lavorazione

Come molti minerali la fluorite non viene estratta allo stato puro. La separazione dalle rocce inutilizzabili può avvenire con due sistemi:

  • il metodo gravimetrico che permette di ottenere un prodotto poco concentrato adatto agli impieghi nell'industria siderurgica. Gli scarti possono essere smaltiti senza problemi sotto forma di ghiaietto;
  • il sistema della flottazione che permette una maggior concentrazione e fornisce un prodotto adatto agli impieghi nell'industria chimica: per questo sistema si utilizza molta acqua con l'aggiunta di schiumogeni.

Gli scarti, sotto forma di fango molto liquido e inquinante, devono essere depositati in una discarica per decantare. L'argine della discarica viene innalzato con la sabbia, separata dal fango residuato della lavorazione mediante centrifugazione in un apparecchio detto «ciclone». I limi più fini vengono depositati nel bacino di decantazione.

[modifica] I depositi

Nel 1961 si passò dal metodo gravimetrico al metodo della flottazione e venne costruito un primo bacino di decantazione sui prati di Pozzole, a 400 metri circa di distanza dagli impianti di lavorazione del minerale, ad una quota di 150 metri più elevata e ad una distanza di circa 800 metri rispetto alle case ed agli alberghi di Stava.

I bacini di decantazione
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I bacini di decantazione

Nel 1969 il bacino aveva raggiunto l'altezza di oltre 25 metri.

Alla fine del 1969 si iniziò la costruzione di un secondo bacino, al di sopra del primo. La miniera appariva prossima al suo esaurimento e, per non cessare traumaticamente la produzione, si decise di procedere a una nuova flottazione dei limi depositati nel bacino inferiore e di scaricare i fanghi residuati di questa seconda lavorazione in un bacino diverso da quello del prelievo. Le finalità per cui si costruì il secondo bacino non vennero tuttavia mai realizzate, perché nel frattempo vennero scoperti nuovi filoni di minerale: il secondo bacino, dunque, fu utilizzato non già per la seconda lavorazione dei fanghi del primo bacino, ma per la discarica della lavorazione della fluorite di nuovo rinvenimento e, in seguito, anche di minerale proveniente da altre miniere. Nel 1985 l'argine del bacino superiore aveva raggiunto l'altezza di 34 metri, le discariche contenevano circa 300 mila metri cubi di materiale ed avevano un'altezza complessiva di oltre 50 metri.

[modifica] La catastrofe

le cifre
La frana
  • 180 mila metri cubi di acqua e fango fuoriusciti dalle discariche
  • 40-50 mila metri cubi provenienti da processi erosivi, dalla distruzione degli edifici e dallo sradicamento di centinaia di alberi
la velocità della frana 90 km/h circa (fra 25 e 23 m/s)
L'area interessata 435.000 metri quadri circa per una lunghezza di 4,2 chilometri
I danni alle cose
  • 3 alberghi, 53 abitazioni, 6 capannoni, 8 ponti completamente distrutti
  • 9 edifici gravemente danneggiati
  • Centinaia di alberi sradicati
  • Processi erosivi su un'area complessiva di 27 mila metri quadri
Vittime 268 morti di cui
  • 28 bambini con meno di 10 anni
  • 31 ragazzi con meno di 18 anni
  • 89 uomini
  • 120 donne

Alle ore 12:22 del 19 luglio 1985 l'arginatura del bacino superiore cedette e crollò sul bacino inferiore che cedette a sua volta. La massa fangosa composta da sabbia, limi ed acqua scese a valle ad una velocità di quasi 90 chilometri orari spazzando via persone, alberi, abitazioni e tutto quanto incontrava fino a che non raggiunse la confluenza con il torrente Avisio. Poche fra le persone investite sopravvissero.

La valle vista dai soccorritori
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La valle vista dai soccorritori

Dalla sentenza-ordinanza del Giudice Istruttore del Tribunale di Trento

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«Se a suo tempo fosse stata spesa una somma di denaro e una fatica pari anche soltanto ad un decimo di quanto si è profuso negli accertamenti peritali successivi al fatto, probabilmente ... il crollo di quasi 170 mila metri cubi di fanghi semifluidi non si sarebbe mai avverato»

I soccorsi furono immediati ed efficienti ma pochissimi furono i feriti e le persone estratte vive dalle macerie: la violenza e la velocità della colata di fango non aveva concesso scampo. 267 morirono sul colpo e solo una ragazza estratta ancora in vita dalle macerie di uno degli alberghi di Stava sopravvisse per pochi giorni.

Il numero esatto dei morti del disastro di Stava fu accertato solo un anno dopo la catastrofe. Molte salme infatti non poterono essere riconosciute e fu quindi necessario ricorrere alla dichiarazione di morte presunta. Il tempo di attesa, richiesto per consentire tale dichiarazione (normalmente di 5 anni, a partire da prima dichiarazione di scomparsa) fu in questo caso ridotto con decreto legge a 1 anno (decreto legge n. 480 del 24 settembre 1985, convertito nella legge n. 662 del 21 novembre 1985). Nel primo anno successivo alla catastrofe il numero delle vittime fu quindi stimato in quello delle salme riconosciute (197) più quello delle dichiarazioni di scomparsa (72), cioè 269. Un anno dopo il disastro fu possibile avere il numero esatto delle dichiarazioni di morte presunta, che risultarono essere 71. Da questo elenco venne infatti depennata la dichiarazione di scomparsa di un cittadino francese del quale non fu poi dichiarata la morte presunta.

[modifica] I soccorsi

All'opera di soccorso parteciparono oltre 18.000 uomini, di cui oltre ottomila Vigili del Fuoco volontari del Trentino e quattromila militari del 4° Corpo d'Armata Alpino. Primi ad accorrere furono i Vigili del Fuoco volontari di Tesero e della Valle di Fiemme. Quindi, nel giro di poche ore, tutti i corpi dei Vigili del Fuoco volontari del Trentino, numerosi corpi dei Vigili del fuoco volontari dell’Alto Adige e quelli permanenti di Trento e di Bolzano, Croce Bianca, Croce Rossa, Carabinieri, uomini della Polizia di Stato, della Guardia di Finanza e del Corpo Forestale, unità cinofile, sommozzatori e centinaia di volontari. Il loro lavoro venne coadiuvato da 19 elicotteri, 774 automezzi, 137 mezzi speciali, 16 gru a braccio lungo, 72 fotoelettriche, 5 battelli, 26 ambulanze, 27 cucine da campo, 144 radio portatili e 4 ponti radio. Presso il Municipio di Tesero fu istituito un Quartier Generale della Protezione Civile dal quale coordinò i soccorsi lo stesso Ministro per la Protezione civile Giuseppe Zamberletti.

La maggior parte delle vittime fu recuperato nelle prime ore, ma la ricerca si protrasse per tre settimane. Le salme furono composte prima nella palestra delle scuole elementari di Tesero; la camera ardente venne successivamente allestita nella Pieve della Maria Assunta a Cavalese, la stessa Chiesa nella quale nel 1976 erano state pietosamente raccolte le salme delle 42 vittime dello schianto della funivia del Cermis.

Lo straziante rito del riconoscimento continuò poi fino alla metà di agosto in ambienti climatizzati ad Egna. Tanti non poterono tuttavia essere riconosciuti. Quasi mille i volontari della Croce Rossa Italiana si prodigarono per giorni e giorni nella pietosa opera di recupero delle salme e del loro trasporto alle camere mortuarie.

A Stava la struttura volontaristica di soccorso, che nelle regioni alpine vanta una tradizione secolare, diede ancora una volta dimostrazione di efficienza e, soprattutto, di convinta e umana solidarietà.

[modifica] Le cause

In oltre 20 anni le discariche non furono mai sottoposte a serie verifiche di stabilità da parte delle società concessionarie o a controlli da parte degli Uffici pubblici cui compete l'obbligo del controllo a garanzia della sicurezza delle lavorazioni minerarie e dei terzi.

[modifica] La verifica del 1975

Nel 1974 il Comune di Tesero chiese conferme sulla sicurezza della discarica. Il Distretto minerario della Provincia Autonoma di Trento incaricò della verifica di stabilità la stessa società concessionaria (la Fluormine, appartenente allora ai gruppi Montedison ed Egam), che la effettuò nel 1975. Pur trascurando una serie di indagini indispensabili, la verifica permise di accertare che la pendenza dell'argine del bacino superiore era «eccezionale» e la stabilità era «al limite». Nella sua prima relazione il tecnico incaricato della verifica sembra in sostanza affermare: «strano che non sia già caduto». Tuttavia la risposta della Fluormine al Distretto minerario e di questo al Comune fu positiva e portò all'ulteriore accrescimento che avvenne con una minor pendenza dell'argine.

[modifica] Non poteva che crollare

La Commissione ministeriale d'inchiesta ed i periti nominati dal Tribunale di Trento accertarono che «tutto l'impianto di decantazione costituiva una continua minaccia incombente sulla vallata. L'impianto è crollato essenzialmente perché progettato, costruito, gestito in modo da non offrire quei margini di sicurezza che la società civile si attende da opere che possono mettere a repentaglio l'esistenza di intere comunità umane. L'argine superiore in particolare non poteva che crollare alla minima modifica delle sue precarie condizioni di equilibrio.»

La causa del crollo venne individuata nella cronica instabilità delle discariche, ed in particolare del bacino superiore, che non possedevano coefficienti di sicurezza minimi necessari a evitare il franamento. In particolare le cause individuate sono:

  1. nel fatto che i limi depositati non erano consolidati a causa
    • della natura acquitrinosa del terreno su cui sorgevano le discariche, che non consentiva la decantazione dei fanghi,
    • dell'errata costruzione dell'argine del bacino superiore, che non consentiva un adeguato drenaggio al piede,
    • della costruzione del bacino superiore a ridosso del bacino inferiore: crescendo, l'argine venne a poggiare in parte sui limi non consolidati del bacino inferiore, peggiorando così ulteriormente il drenaggio e la stabilità;
  2. nell'altezza e nella pendenza eccessive del rilevato:
    • l'argine del bacino superiore aveva un'altezza di 34 metri,
    • la pendenza raggiungeva l'80%, pari ad un angolo di 40°,
    • le discariche erano costruite su un declivio con pendenza media del 25% circa;
  3. nella decisione di accrescere l'argine con il sistema «a monte», il più rapido e il più economico ma anche il più insicuro;
  4. nell'errata collocazione delle tubazioni di sfioro delle acque di decantazione: sul fondo dei bacini e attraverso gli argini.

[modifica] Il dopo catastrofe

[modifica] Le responsabilità

Il procedimento penale si concluse nel giugno 1992 con la condanna di 10 imputati dei reati di disastro colposo ed omicidio colposo plurimo e cioè:

  • dei responsabili della costruzione e gestione del bacino superiore che crollò per primo: i direttori della miniera e alcuni responsabili delle società che intervennero nelle scelte circa la costruzione e la crescita del bacino superiore dal 1969 al 1985;
  • dei responsabili del Distretto minerario della Provincia Autonoma di Trento che omisero del tutto i controlli sulle discariche.

Vennero inoltre condannate al risarcimento dei danni in veste di responsabili civili per la colpa dei loro dipendenti

  • le società che nello stesso periodo ebbero in concessione la miniera di Prestavel o intervennero nelle scelte relative alle discariche: Montedison Spa, Industria marmi e graniti Imeg Spa per conto della Fluormine Spa, Snam Spa per conto della Solmine Spa, Prealpi Mineraria Spa,
  • la Provincia Autonoma di Trento.

Al di là delle azioni ed omissioni penalmente rilevanti, concorsero al disastro di Stava una serie di comportamenti che vanno oltre la sfera giuridica e si caratterizzarono principalmente nell'aver anteposto alla sicurezza dei terzi la redditività economica degli impianti sia da parte delle società concessionarie che degli Enti pubblici istituzionalmente preposti alla tutela del territorio e della sicurezza delle popolazioni.

[modifica] La Fondazione Stava 1985

La Fondazione Stava 1985 è stata voluta dai familiari delle Vittime della Val di Stava per far in modo che i 268 uomini, donne e bambini uccisi il 19 luglio 1985 in Val di Stava non siano morti invano. Soci fondatori sono l’Associazione Sinistrati Val di Stava, la Magnifica Comunità di Fiemme e i Comuni di Tesero, Longarone e Cavalese. La Fondazione si è posta il compito di mantenere la memoria storica della catastrofe della Val di Stava e di rafforzare la cultura della prevenzione, della corretta gestione del territorio e della sicurezza la cui mancanza è stata causa della catastrofe di Stava, dei disastri del Vajont e del Cermis e di altri disastri colposi.

L’attività e le iniziative della Fondazione vengono interamente finanziate con lasciti e donazioni che, in quanto versate a favore di un’organizzazione non lucrativa di utilità sociale Onlus, sono deducibili ai fini della dichiarazione dei redditi delle persone fisiche e delle persone giuridiche. L’Albo d’Onore e l’Albo dei Soci Sostenitori sono pubblicati sul sito web della Fondazione.

Ad opera della fondazione è stato istituito un centro documentazione sulla catastrofe, situato nella stessa Stava.

La Fondazione Stava 1985 si fregia dell’Alto Patronato del Presidente della Repubblica ed ha sede a Stava di Tesero (Trento).

[modifica] Collegamenti esterni

[modifica] Bibliografia

  1. AA.VV. - Stava un anno dopo. Supplemento al nr. 167 del quotidiano Alto Adige del 19 luglio 1986, 155 pp., Bolzano (1986) .
  2. AA.VV. - Stava, tragici bacini: pericolo mortale per l'abitato. ACLI Milano (a cura di), Publiprint, Trento (1988).
  3. AA.VV. - Stava tre anni dopo. Associazione Sinistrati Val di Stava e Parrocchia di Tesero (a cura di), Cassa Rurale di Tesero e Panchià, Tesero (Trento) (1989).
  4. AA.VV. - Stava Perché - la genesi, le cause, la responsabilità della catastrofe di Stava negli atti dell'inchiesta ministeriale e nelle sentenze del procedimento penale. G. Lucchi (a cura di), 254 pp., Curcu & Genovese, Trento (1995).
  5. A A.VV. - Genesi, cause e responsabilità del crollo delle discariche della miniera di Prestavel. La catastrofe della Val di Stava, 19 luglio 1985. Fondazione Stava 1985 (a cura di), 16 pp., Tesero (Trento) (2001).
  6. Bernardinatti R. & Basso G. - Tesero: venerdì 19 luglio 1985. Quotidiano "Adige" [S.l.], Trento (1985).
  7. Decarli D., Giovannini A. & Degasperi A. - Tesero, 19 luglio 1985: per non dimenticare. Publilux, Trento. (1985)
  8. Giordani I., Lucchi G., Salghetti Drioli G. & Tosatti G. – Stava 1985 – una documentazione. Centro di documentazione della “Fondazione Stava 1985”, 96 pp., Curcu & Genovese, Trento (2003).
  9. Ismes - Indagini geotecniche di laboratorio su materiali provenienti dai bacini Prestavel in località Stava, Tesero (Trento). Rapporto tecnico finale per il Collegio dei Periti del Tribunale di Trento, 5 Voll., inedito, Bergamo (1986).
  10. Salomoni P. & Doliana C. - Stava: dalla strage al processo: cittadini, politici, industriali, avvocati e una montagna di denaro attorno alla sciagura mineraria del 19 luglio 1985. Stampa, Trento (1988).
  11. Struffi M. (A cura di) - 269 morti attendono giustizia. Supplemento al quotidiano L'Adige n. 169 (19 luglio 1986), Trento (1986).
  12. Tosatti G. (A cura di) – Rassegna dei contributi scientifici sul disastro della Val di Stava (Provincia di Trento), 19 luglio 1985. Volume speciale del GNDCI-CNR, 480 pp., Pitagora Editrice, Bologna (2003).
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