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Legge di Moore - Wikipedia

Legge di Moore

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

La legge di Moore, più che una legge vera e propria, è una osservazione empirica.

Gordon Moore, cofondatore di Intel con Robert Noyce, è stato lo studioso che ha dato il via alla corsa all’evoluzione dei processori, grazie alle sue supposizioni, poi diventate leggi, conosciute proprio come prima e seconda legge di Moore.

Nel 1965 Gordon Moore, che all'epoca era a capo del settore R&D della Fairchild Semiconductor e tre anni dopo fondò la Intel, scrisse un articolo su una rivista specializzata nel quale spiegava come nel periodo 1959-1965 il numero di componenti elettronici (transistor) che formano un chip raddoppiava ogni anno.

[modifica] Prima legge di Moore

Le prestazioni dei processori, e il numero di transistor ad esso relativo, raddoppiano ogni 18 mesi.

Crescita del numero di transistor per processori Intel (puntini) e legge di Moore (linea superiore=18 mesi; linea inferiore=24 mesi)
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Crescita del numero di transistor per processori Intel (puntini) e legge di Moore (linea superiore=18 mesi; linea inferiore=24 mesi)

Nel 1965 Moore suppose che le prestazioni dei microprocessori sarebbero raddoppiate ogni 12 mesi. Nel 1975 questa previsione si rivelò corretta e prima della fine del decennio i tempi si allungarono a 2 anni, periodo che rimarrà valido per tutti gli anni Ottanta. La legge, che verrà estesa per tutti gli anni Novanta e resterà valida fino ai nostri giorni, viene riformulata alla fine degli anni Ottanta ed elaborata nella sua forma definitiva, ovvero le prestazione dei processori raddoppiano ogni 18 mesi,.

Questa legge è diventata il metro di misura e l’obiettivo di tutte le aziende che operano nel settore, e non solo Intel. Facciamo un esempio di come i microprocessori in commercio seguano la legge di Moore:

Nel maggio del 1997 Intel lancia il processore Pentium II 300 MHz con le seguenti caratteristiche:

Frequenza: 300 MHz Numero di transistor: 7,5 milioni

Dopo tre anni e mezzo, ovvero nel novembre del 2000, mette in vendita il Pentium 4 1,5 GHz con le seguenti caratteristiche:

Frequenza: 1,5 GHz Numero di transistor: 42 milioni

Come si può vedere, in 42 mesi le prestazioni dei processori sono circa quintuplicate, proprio come prevedeva la legge. Infatti, a ben vedere, la frequenza del processore è passata da 300 MHz a 1,5 GHz, esattamente cinque volte quella del Pentium II. Ad ulteriore conferma c'è anche il numero di transistor utilizzati per costruire il processore, un processore Pentium II è formato da 7,5 milioni di transistor, se moltiplichiamo per cinque quel valore otteniamo che il processore dovrebbe essere formato da circa 37,5 milioni di transistor, il Pentium IV è formato da 42 milioni, il che vuol dire che non solo Intel ha rispettato la legge, ma addirittura è riuscita a fare meglio.

[modifica] Seconda legge di Moore

Moore affermava che:

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«sarebbe molto più economico costruire sistemi su larga scala a partire da funzioni minori, interconnesse separatamente. La disponibilità di varie applicazioni, unita al design e alle modalità di realizzazione, consentirebbe alle società di gestire la produzione più rapidamente e a costi minori.»

Non si tratta certamente di considerare il logaritmo sulla memoria dei chip, già noto al fondatore di Intel, ma dell'implicita enunciazione di un'altra importante legge: quella che riguarda l'efficienza dei dispositivi elettronici ed il loro costo effettivo. Come nel caso della prima, si tratta di un accordo tra fattori diversi Ma non fu Moore a trattare questi argomenti. Infatti Arthur Rock, uno dei primi investitori nella Intel osservò preoccupato che il costo dei tool per la fabbrica di cui era azionista raddoppiava ogni quattro anni circa. Da qui un primo principio su cui fondare una nuova legge:

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«Il costo dei tool per fabbricare semiconduttori raddoppia ogni quattro anni»

In seguito, Moore integrò definitivamente la sua legge originaria (Leyden, 1997; Ross, 1995) formulandone, implicitamente, una seconda:

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«il costo di una fabbrica di chip raddoppia da una generazione all'altra»

Egli fece quest'affermazione in base all'osservazione della dinamica dei costi legati alla costruzione delle nuove fabbriche di chip; costi che erano passati - in media - da 14 milioni di dollari nel 1966 a un miliardo di dollari nel 1996. Questi costi sono quindi cresciuti a un ritmo superiore rispetto all'incremento di potenza dei chip previsto dalla prima legge. La proiezione di questi costi indica che nel 2005 una fabbrica di chip costerà 10 miliardi di dollari. L'implicazione di questo primo andamento è che il costo per transistor, oltre a smettere di diminuire, è destinato ad aumentare. Dunque Moore aveva avvertito che la validità della sua prima legge stava per giungere a termine. Da notare però che nello stesso periodo in cui Moore in qualche modo smentiva sé stesso, gli sviluppi realizzati nella litografia (anche presso la University of Texas) hanno consentito dei risparmi di costo e dei miglioramenti di qualità dell'output che confermavano la validità della prima legge di Moore per almeno un altro decennio. Da considerare è anche un altro aspetto che emerge quando si cita la legge di Moore: l'accentuazione che generalmente viene data al vantaggio competitivo offerto dalla tecnologia dei processori e dalle implicazioni fornite anche dalle "code" di questa tecnologia.

Poiché i processori d'avanguardia aumentano di potenza a parità di prezzo, i processori della generazione precedente, la cui potenza rimane fissa, calano di prezzo. Come osserva Karlgaard (1998):

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«il corollario è che nel 2008 i chip Pentium II e PowerPC costeranno circa 75 cent"»

Significa che sarà conveniente utilizzare questi chip negli elettrodomestici, negli autoveicoli e in tutte le applicazioni ad ampia diffusione. In aggiunta, come invita ad osservare Luigi Vedani ingegnere della Cisa, oggi una fab costa sempre circa 2-3 miliardi di dollari (USD), mentre la sua produttività è cresciuta a dismisura in throughtput e in volumi specifici (yeld). Di conseguenza, occorre effettivamente analizzare anche il ciclo del valore e dei volumi del prodotto finale. Ad esempio, una nuova macchina da 10 milioni di Euro, che può produrre miliardi di transistor in più, permetterà di ottenere un vantaggio competitivo in maniera indipendente dal costo dell'impianto produttivo e del ciclo di rimpiazzo delle linee di produzione. Sempre se il prodotto viene venduto completamente.

Tutte le innovazioni tecnologiche e il miglioramento della qualità dei materiali che hanno reso possibile il processo di scalamento dei dispositivi hanno comportato, però, investimenti sempre crescenti in apparecchiature: da queste osservazioni si può comprendere perché in un'ulteriore interpretazione della seconda legge di Moore

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«L’investimento per realizzare una nuova tecnologia di microprocessori cresce in maniera esponenziale con il tempo.»

Ovviamente, per incrementare le prestazioni, occorrono sempre maggiori studi, ricerche e test. Per aumentare il numero di transistor all’interno del processore, senza aumentare la dimensione del processore stesso, occorrono dei componenti sempre più piccoli, quindi nuovi materiali che permettano questo risultato. L’aumento delle prestazioni comporta dei test, sia per provare la resistenza dei materiali, sia per l’affidabilità stessa del processore. Tutto questo ovviamente comporta delle spese che la casa produttrice deve affrontare se vuol avere un prodotto funzionante e funzionale.

Al momento attuale, fermo restando il fatto che l'entità dell'investimento dipende in maniera significativa dal tipo di prodotto in sviluppo e dalle economie di scala che si intendono effettuare, una stima intorno ai 2-5 miliardi di dollari non sembra lontana dal vero. Ogni nuova linea pilota richiede, quindi, investimenti (e coinvolge ricercatori) paragonabili con quelli degli acceleratori di particelle o dell'esplorazione spaziale. Anche se l'industria microelettronica spende tradizionalmente circa il 20% del proprio fatturato in nuove fabbriche e il 12-15% in ricerca e sviluppo, la crescita degli investimenti richiesti per una nuova linea pilota tende a rappresentare una porzione, sempre più alta, del fatturato, con alcune implicazioni economiche:

  • riduzione nel numero di società che si possono permettere linee pilota avanzate;
  • fenomeni di associazione di società diverse per condurre la ricerca in comune;
  • (SEMATECH, associazione di Motorola, Philips ed ST per la nuova linea da 300 mm ecc.); crescita dei rischi connessi ad un investimento sbagliato, che colpisce, soprattutto, le società che sviluppano le attrezzature di produzione nel settore della microelettronica.

In generale, si sta quindi assistendo ad un fenomeno di netto consolidamento del settore, sintomo di una industria matura, con alte barriere di ingresso, ed una forte riduzione della propensione a correre rischi. È comunque presente un problema, che invita a calmare gli entusiasmi, dato dalla necessità di garantire un ritorno economico adeguato per gli investimenti fatti. Ogni nuova generazione tecnologica deve produrre utili sufficienti a ripagare lespese di sviluppo, e questo è possibile solo se si aprono nuovi mercati di massa. Potrebbe arrivare un momento in cui non esisteranno più applicazioni di massa tali da giustificare economicamente lo sviluppo di tecnologie a prestazioni superiori. Esiste quindi una forte spinta a cercare vie alternative che garantiscano la continuazione della situazione attuale per il più lungo tempo possibile. A questo proposito bisogna tenere presente che il punto critico non è costituito dalle dimensioni del transistor, ma dalla possibilità di produrre circuiti integrati sempre più complessi a costi sempre più bassi.

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