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Gianfranco Bertoli - Wikipedia

Gianfranco Bertoli

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

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Gianfranco Bertoli, anarchico, nato a Venezia il 30 aprile 1933, morto il 17 dicembre 2000 a Livorno.

[modifica] Biografia

Il 17 maggio 1973 lanciò una bomba davanti alla questura di Milano, alla fine di una cerimonia in memoria del Commissario Luigi Calabresi. Alla cerimonia presenziava il ministro dell'interno Mariano Rumor. Rimasero uccise 4 persone e 52 ferite. L'attentatore fu subito arrestato. Si proclamava anarchico individualista, seguace delle teorie di Rudolf Steiner, pensatore austriaco. Dichiarò che voleva punire il ministro Rumor per la morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli.Da Israele per colpire Rumor. I misteri dell'attentatore che si spacciava per anarchico. Quando Gianfranco Bertoli lanciò la bomba della strage, era un uomo venuto dal nulla. Aveva una A tatuata su un braccio, e un voluminoso dossier sulle sue imprese negli scaffali della Squadra mobile di Venezia. Disse che voleva uccidere Rumor per vendicare Giuseppe Pinelli. Ma si rammaricava di averlo mancato perché il ministro era uscito dalla questura mentre lui, Bertoli, era al bar. Venti condanne in quarant'anni, furti, rapine. E violenze che costellavano il suo frequente stato di ubriachezza. Non se ne conosceva una vera militanza politica. Nei primi anni '50 era stato sì iscritto in una sezione del Pci di Venezia ma ne era stato presto espulso: per trotskismo, disse Bertoli. In realtà perché informava a modico pagamento i carabinieri sulle attività. Poi aveva frequentato a Mestre le riunioni d'un circolo anarchico ma i dubbi sulle sue frequentazioni gli crearono il vuoto intorno. Come poteva portare la morte a Milano in nome di Pinelli un uomo con un tale passato? Aveva cominciato esplodendo un colpo di rivoltella al liceo a 17 anni, segnalando così una passione per le armi che non lo avrebbe mai abbandonato. Anche trafficando e truffando. Brandiva una pistola, anni dopo, da ubriaco, in un bar di Venezia. Che cosa lo aveva spinto a lanciare una bomba destinata al ministro Rumor, ma che invece uccideva 4 persone e ne feriva 45? Il giudice Antonio Lombardi fu il primo a non credere all'impresa solitaria d'un anarchico. Prima e durante il processo, Bertoli scrisse molto. Raccontò la sua vita all'avvocato. Durante il dibattimento si mostrava padrone della scena, di battuta pronta. Si piaceva nel ruolo. Non era più lo squattrinato accolto dall'Oasi, l'Opera assistenza scarcerati, con i sacerdoti che pretendevano il saldo delle modeste quote per l'ospitalità ricevuta. Bertoli scriveva al suo avvocato che con duecentomila lire mensili avrebbe risolto i suoi problemi e non sarebbe diventato l'uomo della strage. Ma il suo piccolo sogno non si era avverato. Bertoli usava parole dure verso se stesso. Sono stato un mascalzone, un bidonaro, scriveva. Poi finiva per compiangersi. Il lavoro perduto, i soldi che non c'erano, il carcere: per tutto questo, cioè per le colpe che attribuiva alla società eccolo, a suo dire, con la bomba della strage. Alcuni giornali gli chiedevano se provasse rimorso e lui rispondeva che sì gli dispiaceva per le vittime innocenti, ma non era accaduto per colpa sua. E concludeva citando Nietzsche: "Il rimorso è un cane che morde la pietra. Il rimorso è stupido!". E a chi gli proponeva la solita domanda su chi poteva esserci dietro la strage, eccolo pronto e beffardo a gigioneggiare: "Ma che servizi e complotto. È stato, come diceva Camus, un delitto di passione". In realtà non fu la mancanza di duecentomila lire mensili a muoverlo verso Israele e quindi a farlo arrivare a Milano con la bomba. Un estremista di destra, pregiudicato e informatore della polizia segnalò Bertoli e un suo amico come autori di una rapina e di un tentativo di omicidio nel 1970. Da allora fu latitante, giunse a Milano come un "operaio di Mestre perseguitato per motivi politici". Espatriò in Svizzera, quindi in Francia e, presentato al consolato israeliano di Marsiglia da una persona che non è stata identificata, giunse dopo un'attesa di soli 8 giorni (la media era un mese), nel kibbutz di Karmyja. Il 20 giugno del 1971 in Corte d'assise a Padova il delatore che l'aveva costretto a fuggire ritrattava l'accusa e Bertoli, al riparo in Israele, veniva assolto. Era entrato in un gioco da cui non poteva più ritirarsi. Ha trascorso il resto della vita per diventare "l'anarchico Bertoli": è morto il 17 dicembre 2000 a Livorno senza riuscirvi. Al processo si comportò con grande dignità, negò il coinvolgimento di altri nell'attentato assumendosi tutte le responsabilità. Nel 1975 fu condannato all'ergastolo. Dal carcere collaborò alla rivista "A - rivista anarchica". Alcuni articoli sono raccolti nel volume "Attraversando l'arcipelago", edizioni Senzapatria, scrisse anche "Memorie di un terrorista", edizioni Tracce.

[modifica] Scritti

  • "Attraversando l'arcipelago", Edizioni Senzapatria, 1986, raccolta di articoli originariamente pubblicati sulla rivista "A - Rivista anarchica".
  • "Memorie di un Terrorista", libro intervista, Edizioni Tracce.
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