Cibele
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Cibele (gr.Kubelis, lat.Cibelis) fu un'antica divinità anatolica, venerata come Grande Madre, dea della natura, degli animali (potnia theron) e dei luoghi selvatici. Il centro principale del suo culto era Pessinunte, nella Frigia, da cui attraverso la Lidia passò approssimativamente nel VII secolo a.C. nelle colonie greche dell'Asia Minore e successivamente nel continente. Nella mitologia greca fu identificata con Rea.
Cibele viene generalmente raffigurata seduta sul trono tra due leoni o leopardi, spesso con in mano un tamburello e con su il capo una corona turrita.
[modifica] Il mito di Cibele e Atti
Collegato con il mito ed il culto di Cibele, era il giovane dio Atti, a volte considerato suo figlio, che in un primo momento aveva ricambiato il suo amore, ma in seguito si era innamorato di un'altra donna.
Durante il banchetto nuziale Cibele per vendetta fece impazzire il giovane, che fuggito sui monti si uccise, evirandosi.
La tradizione vuole che Atti successivamente sia resuscitato.
Nelle cerimonie funebri, che si tenevano in suo onore durante l'equinozio di primavera, i sacerdoti della dea, i Coribanti, suonavano tamburi e cantavano in una sorta di estasi orgiastica.
Le due divinità sono sovente raffigurate insieme sul carro divino trainato da leoni in un corteo trionfale, come nella Patera di Parabiago, piatto d'argento, finemente lavorato a sbalzo, risalente alla seconda metà del IV secolo d.C. e ritrovato nel 1907 nella cittadina in Provincia di Milano.
[modifica] Il culto nella Roma antica
![Statua di Cibele su un carro trainato da leoni, nella Plaza de Cibeles, Madrid](../../../upload/shared/thumb/e/e9/Plaza-de-cibeles.jpg/250px-Plaza-de-cibeles.jpg)
Il culto di Cibele, la Magna Mater dei Romani, fu introdotto a Roma nel 204 a.C., quando la pietra nera, simbolo della dea, vi fu trasferita da Pessinunte e collocata in un tempio sul Palatino.
Durante la Repubblica venivano organizzati dei giochi in suo onore, i Megalesia.
In epoca imperiale il ruolo di Atti, la cui morte e resurrezione simboleggiava il ciclo vegetativo della primavera, si accentuò gradualmente, dando al culto una connotazione misterica e soteriologica.
In suo onore si organizzarono delle festività annuali che iniziavano il 22 marzo. Quel giorno si tagliava il pino, simbolo del dio, se ne fasciava il tronco con sacre bende di lana, lo si ornava di viole e sulla sua sommità si ponevano le effigie del dio giovanetto.
Il 24 marzo iniziavano le cerimonie funebri. Il grande sacerdote di Atti, l'Archigallo, subito imitato da altri sacerdoti (i Galli), si tagliava le carni con cocci e si lacerava la pelle con pugnali per spargere sull'albero-sacro il sangue che usciva dalle ferite. Gli uomini che seguivano la scena iniziavano una danza frenetica e nell'eccitazione sguainavano le spade per ferirsi.
Giunta la notte, il dolore si tramutava in gioia. Il dio era risorto e il giorno seguente a Roma si celebravano le feste chiamate Hilaria e per le strade vi erano cortei gioiosi.
[modifica] Bibliografia
- Claudio Claudiano De Raptu Proserpinae I,181
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