Ahmed Yassin
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Lo shaykh Ahmad Ismā‘īl Yāsīn, nei media occidentali Yassin (1937 - 22 marzo 2004) è stato uno dei fondatori ed il capo spirituale del gruppo fondamentalista islamico Hamās.
Figura di spicco nella crisi vicino-orientale, non sempre in totale accordo con il capo dell'Autorità Nazionale Palestinese Yasser Arafat, Yāsīn è stato ucciso a Gaza il 22 marzo 2004 da missili lanciati da un elicottero israeliano contro l'auto sulla quale stava salendo dopo essere uscito da una moschea.
Secondo Israele è stato il responsabile dell'uccisione di centinaia di civili israeliani e di altri paesi in numerosi attentati terroristici. Dirà l'allora Ministro della Difesa israeliano, Generale a riposo Shaul Mofaz: "Lo Stato ebraico persisterà nella propria politica di "liquidare i terroristi", cioè dei cosiddetti 'omicidi selettivi' e continuerà a cercare di eliminare gli uomini più pericolosi della rivolta palestinese".
Parole di deplorazione per la sua uccisione sono state espresse dall'intera comunità internazionale. Il 25 marzo 2004 una mozione di condanna di Israele del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è stata bloccata dal veto dei soli Stati Uniti.
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[modifica] Biografia
Pressoché cieco ed affetto da tetraplegia (era costretto a muoversi su una sedia a rotelle a causa di un incidente sportivo riportato in gioventù), Yāsīn era nato verso la fine del 1937 nel villaggio di al-Jora vicino all'attuale Ashkelon.
Durante la guerra arabo-israeliana del 1948 fu costretto a trasferirsi a Gaza. Nonostante il suo handicap riuscì a studiare all'Università Al-Azhar del Cairo (Egitto). I suoi seguaci lo chiamavano shaykh, sebbene non avesse effettivamente frequentato una vera e propria Madrasa, scuola coranica che avrebbe potuto conferirgli di diritto il titolo, anche se nel sentire comune il termine è dato a qualsiasi personalità degni di rispetto.
Aderì al movimento di Fratellanza musulmana durante il periodo di studi ad al-Azhar, che fu un po' la culla del movimento votato all'islamismo e al nazionalismo arabo.
[modifica] Fondatore di Hamās
Nel 1987 fondò Hamās, ala palestinese della Fratellanza musulmana, sorta almeno inizialmente con scopi caritativi. Tuttavia non mancava di ripetere che "la terra di Israele sarà consacrata alle future generazioni musulmane fino al Giorno del Giudizio", criticando anche la cosiddetta Road Map che, a suo parere, "non equivale ad una pace vera e non può sostituirsi al jihād e alla resistenza".
Sospettato nel 1989 di aver ordinato l'uccisione di Palestinesi passati a collaborare con le forze di difesa israeliane, Yāsīn fu da Israele fatto arrestare e condannare a vita per il rapimento e l'uccisione di due soldati. Tuttavia, nel 1997 fu rilasciato in seguito ad un accordo con la Giordania che prevedeva la liberazione di due agenti del Mossad tenuti prigionieri in quella nazione.
[modifica] Fino alla sua morte
Dopo il suo rilascio, Yāsīn assunse nuovamente la leadership di Hamās, chiamando il popolo palestinese ad una rinnovata resistenza contro l'occupazione di Israele che prevedesse anche il ricorso ad attentati suicidi contro obiettivi civili e militari israeliani. Il suo motto è anche la sua citazione più conosciuta: "Abbiamo scelto questa strada: finirà con il martirio o la vittoria".
Nelle varie fasi di trattative fra le autorità palestinesi ed Israele, Yāsīn è stato più volte posto agli arresti domiciliari ma poi sempre rilasciato, anche per la pressione a suo favore da parte dei suoi sostenitori.
Dichiaratamente nel mirino di Israele, almeno dal giugno 2003, era riuscito a sfuggire una volta alle bombe delle forze aeree israeliane che attaccarono, nel settembre dello stesso anno, un palazzo di Gaza nel quale si riteneva si trovasse. Yāsīn rimase leggermente ferito ed ai giornalisti che lo intervistarono in ospedale disse che "il tempo proverà quanto l'atteggiamento criminale (di Israele) non riuscirà ad eliminare Hamās, i cui leader aspirano al martirio e non paventano la morte. Il jihād - aggiunse in quella circostanza - continuerà fino alla vittoria o fino al martirio".
Yāsīn non fece mai molto da allora per nascondersi o per cautelarsi da nuovi attentati. La sua residenza a Gaza è stata visitata da diversi giornalisti ed egli stesso non ha mai rinunciato, fino all'ultimo, a recarsi quotidianamente - secondo una consolidata routine - in moschea a pregare.