Agrippa Menenio Lanato
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Agrippa Menenio C. f. Lanato (in lat. Agrippa Menenius C. f. Lanatus), noto anche come Menenio Agrippa fu un uomo politico dell'antica Roma, membro della gens Menenia.
[modifica] Vita
Menenio fu eletto console nel 503 a.C. assieme a Publio Postumio Tuberto. Lo stesso anno sottomise i Sabini ed ottenne l'onore di un trionfo grazie alla sua vittoria.
Nelle lotte fra patrizi e plebei fu considerato come un uomo dalle opinioni moderate e che ebbe la fortuna, rara nei conflitti civili, di essere apprezzato e stimato da entrambe le parti.
Grazie alla sua mediazione la prima grande rottura fra patrizi e plebei, quando questi ultimi misero in atto la secessione sul Monte Sacro, fu ricondotta ad una conclusione felice e pacifica nel 493 a.C..
In questa occasione si dice che abbia esposto alla plebe il suo ben noto apologo del ventre e delle membra.
Morì alla fine dello stesso anno e, poiché aveva lasciato proprietà appena sufficienti a pagare un funerale estremamente semplice, fu sepolto con un magnifico funerale a spese dello stato. I plebei avevano raccolto contributi volontari per lo scopo, che furono dati ai figli di Menenio, dopo che il Senato ebbe insistito che le spese del funerale fossero a carico dell'Erario.
[modifica] L'apologo
Agrippa spiegò l'ordinamento sociale romano metaforicamente paragonandolo (come in Esopo) ad un corpo umano, nel quale tutte le parti sono essenziali e, brevemente, ammise che effettivamente se le braccia smettessero di lavorare lo stomaco non si nutrirebbe, ma ribatté che ove lo stomaco languisse, le braccia non riceverebbero la loro parte di nutrimento. La situazione fu velocemente ricomposta ed i plebei fecero solerte ritorno alle loro occupazioni.
- "Olim humani artus, cum ventrem otiosum cernerent, ab eo discordarunt, conspiraruntque ne manus ad os cibum ferrent, nec os acciperet datum, nec dentes conficerent. At dum ventrem domare volunt, ipsi quoque defecerunt, totumque corpus ad extremam tabem venit: inde apparuit ventris haud segne ministerium esse, eumque acceptos cibos per omnia membra disserere, et cum eo in gratiam redierunt. Sic senatus et populus quasi unum corpus discordia pereunt concordia valent." (Liv. II, 32)
[modifica] Fonti
- Liv., Ab Urbe condita libri: II. 16, 32, 33
- Dionys. V 44—47; VI 49—89, 96
- Zonar. VII 13,14
- Niebuhr B.G.: Storia di Roma (Römische Geschichte bis 241 v. Chr., 1811–1832)
- William Smith: Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, Boston 1867. ([1])
- La voce è in parte tradotta da William Smith: 1867.