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Discussione:Repubblica di Venezia - Wikipedia

Discussione:Repubblica di Venezia

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Indice

[modifica] Modifiche

  • Ripristinata la dizione "Italia" sostituita in precedenti interventi, quasi fosse indegna o inesatta con altre versioni attenuative, tipo "penisola italica" e simili. Ricordiamo appena che questo è il progetto italiano di Wikipedia.
  • Non ho modificato, ma ho notato, che nella Revisione 01:16, 26 lug 2005 dell'anonimo 151.47.132.14 è stata introdotto il concetto, del tutto da verificare perchè quasi certamente infondato, secondo il quale vi sarebbero tutt'oggi isole linguistiche venete nel Bosforo:
Le sue propaggini arrivano fino al Bosforo dove alcune località parlano ancora oggi veneto (come in molte delle sue ex isole).

(Andrebbe anche un po' migliorato l'italiano: difficilmente le località in sé stesse parlano alcuna lingua...). Per esperienza personale, posso dire che a Corfù e a Cefalonia, per esempio, non ho trovato neanche un anziano che ricordasse non dico qualcosa di veneto, ma abbastanza di italiano (l'isola fu occupata dalle nostre truppe durante l'ultima guerra) da metter su una frase più articolata di italiani e greci, una faccia una razza. Quelli che parlano attualmente un italiano accettabile lo hanno appreso al fine di mantenere rapporti diretti con i turisti (persino il mio amico Omeros che, bimbo, assistette all'attacco tedesco a Cefalonia). Ovviamente si tratta di esperienza personale, e come tale non probante, ma l'affermazione citata sopra merita ugualmente di essere documentata o altrimenti eliminata. --Piero Montesacro 12:52, 20 gen 2006 (CET)

Progetto "italiano" di Wikipedia, dovrebbe stare per "in lingua italiana", se non mi sbaglio. Per quanto riguarda il toponimo "Italia" sinonimo di penisola italica , esso è appunto un termine che indica dapprima un'area geografica e poi delle entità statuali. Onde non confondere i due aspetti (geografia e politica) secondo me è più corretto usare nei vari contesti, ora l'uno ora l'altro. Quando si tratta del periodo storico segnato dall'unità statuale Italiana trovo che ci stia bene il termine Italia, quando invece si debbono indicare periodi precedenti pre-unitari, in riferimento, ad altre statualità allora esistenti, trovo corretto usare l'espressione politicamente neutra di penisola italica. Non c'è alcuna irrispettosità, anzi si ha più rispetto non solo per l'Italia ma anche per la storia.--Paolo sarpi II 11:32, 22 gen 2006 (CET)

[modifica] Unità politica

Frase scorporata:
Ricostituendo così l'unità politica delle genti venete - Mi sembra poco plausibile che nel '900 ci fosse un'unità politica del Veneto. Se c'era, occorrerebbe documentarla :-) Gac 18:29, 21 gen 2006 (CET)

Le comunità umane a prescindere dal numero dei loro membri, sono tutte genericamente delle polis e la gestione della loro vita sociale e relative istituzioni, anche tribali, sono attività politiche. I documenti richiesti stanno nelle elaborazioni degli archeologi, degli antropologi, ecc. e cosa ancor più importante stanno nella logica naturale della vita umana. Anche in questo "scorporo" si nota una evidente intenzionalità a negare la realtà veneta come popolo, nazione e statualità storiche.--Paolo sarpi II 11:40, 22 gen 2006 (CET)

[modifica] Politica

Da veneziano vorrei ricordare a tutti che la Repubblica di Venezia, sebbene si estendesse su vasta parte del Nord Italia, è sempre e comunque stata una città-stato, i cittadini erano gli abitanti di Venezia e al massimo gli originari dei più antichi territori della Repubblica (le coste dell'antica Venezia Marittima)... dunque non ha mai e poi mai avuto a che fare con un concetto di popolo veneto quale si tende ad assegnargli oggigiorno. Sebbene non esistesse uno sbarramento per diventare Veneziani (visto che il Popolo non aveva più da secoli poteri effettivi) non c'è mai stato a mio giudizio un momento in cui concettualmente si sia esteso a tutta la massa di abitanti e contadini della terraferma un senso di apparteneza alla cittadinanza della Repubblica, tanto è vero che questa ha sempre lodato la fedeltà di questi popoli, sottolineandone però così la percezione di alterità. Per quanto riguarda la discussione sulla forma di governo vorrei dire: è vero che si trattava di un esercizio di potere oligarchico, ma è anche vero che anche se solo nella larvata forma dell'acclamazione ducale, la Repubblica è sempre rimasta un organismo coinvolgente il popolo e che nel popolo riconosceva una fonte di sovranità (diciamo quasi che il popolo regnava ma non governava), tanto da prevedere accanto agli organi maggiori dello Stato, affidati al patriziato, tutto un sistema di potere burocratico parallelo e riservato ai non nobili, il cui vertice, il Gran Cancelliere, aveva nelle processioni ducali la massima preminenza subito dopo al Doge. Infine, per quanto oligarchico, il potere veneziano ha lasciato nei secoli una traccia positiva nella memoria storica delle genti che ne sono state sottoposte... dunque per quanto appartenente ad un sistema statuale generalmente concepito come negativo, nel caso specifico negativo probabilmente non fù. Dunque perchè non accettarne una descrizione idilliaca?

Questa è un'enciclopedia. Non facciamo politica. La frase ricostruendo la Nazione Veneta, riferita all'anno 1400 non mi sembra vera (magari sbaglio, correggetemi). Nel mio libro di storia non ho mai letto che ci fosse, in quell'anno, una Nazione Veneta. Se i libri di storia sono sbagliati (possibile), occorre prima riscrivere quelli e dopo inserire l'informazione nell'enciclopedia. Le opinioni personali o POV non sono ammesse. Il revisionismo politico è un concetto estraneo a quest'enciclopedia. Grazie, Gac

Hai bisogno di sapere se in qualche testo antico, magari ufficiale della Repubblica Serenissima Veneta i Veneti parlavano di sè come di una Nathion Veneta? Ti accontenterò presto!

Ricordo ai lettori che quando si tratta di Italia pare ammesso che si parli di nazione fin dai tempi preistorici, quando si parla del Veneto no e ci vogliono documenti scritti.

Ricordo anche che nei libri scolastici di storia italiani la gloriosa e lunghissima Storia Veneta è raccontata quasi di sfuggita e in maniera tale da nascondere ai giovani che il veneto è un popolo(NO CHE NON LO è, DEMENTE LEGHISTA) che è in questa penisola da più tempo dei latini, che la Repubblica Serenissima Veneta è stata la più lunga Repubblica della Storia e che i veneti sono una nazione storica d'Europa. Tutto conforme alla politica nazionalistica che non si fa alcun scrupolo di raccontare anche falsità e inventarsi le cose.--Paolo sarpi II 11:49, 22 gen 2006 (CET)

Nessuno mette in dubbio che la storia veneta sia lunghissima e, per molti secoli, sia stata anche gloriosa. Nei "libri scolastici di storia italiani", però, la vicenda della Serenissima è, come merita, ampiamente analizzata, mentre altri stati regionali sono negletti. Ci si ricorda molto, ad esempio, sulla storia dello stato sabaudo prima di re Carlo Alberto, della Repubblica di Genova e di quella di Lucca? Duroy 12:53, 22 gen 2006 (CET)

Credo che in ogni realtà (locale) si dovrebbe approfondire la storia delle genti di quel posto,l'Heimat, come avviene in ogni paese civile, dove la scuola pubblica (statale o privata) e i programmi scolastici (quindi anche i libri di testo) sono fatti per ben informare i cittadini sulla loro storia e identità specifiche e poi dare informazioni più generali sugli altri, a cerchi concentrici. Se a me che son Sardo mi vengono a raccontare la storia dei Veneti o dei Romani trascurando quella dei Sardi, lo troverei assurdo. Prima mi si racconta ( di ciò che mi è più vicino) della mia gente e della mia terra e poi mi si racconta (di ciò che è più lontano)il resto e non viceversa. Se poi nella scuola pubblica di stato mi raccontassero dei re di Roma e mi negassero i miei Dogi lo troverei molto strano; se mi raccontassero la Leggenda di Enea e mi negassero quella di Antenore anche questo risulterebbe strano; se mi raccontano che i miei avi paleoveneti sono scomparsi come i dinosauri e che io e la mia gente siamo figli di NN lo troverei molto molto strano e mi verrebbe da pensar male, molto male. Chi non la racconta giusta ti fa sempre del male. Nei libri di scuola la storia della Serenissima non é affatto raccontata giusta, per sentirla giusta devi venire ad ascoltarla quà nel veneto e sentire più voci, guardarti intorno e entrare nelle case, nei palazzi, nelle biblioteche, negli archivi... ma sopratutto saper ascoltare e vedere oltre le apparenze.--Paolo sarpi II 18:44, 22 gen 2006 (CET)

Sulla Repubblica Veneta ti sbagli. In realtà è stata un'oligarchia mercantile in quanto il popolo non aveva alcun potere politico. -- Ilario (0-0) - msg 01:54, 23 gen 2006 (CET)

Ti pregherei di informarti bene sulle parole oligarchia e aristocrazia e repubblica e democrazia....che sono tutte parole con significati diversi. Nei secoli in cui tutta l'Europa (penisola italica compresa) era costituita da stati monarchici più o meno assoluti e dispotici e signorie principesche (a parte i brevi periodi delle Repubbliche Marinare), Venezia è stata l'unica entità statuale ad essere e restare Repubblica per 1100 anni e per questo odiata, come oggi è odiato Israele in medio oriente, circondato com'è da regimi dispotici-dittatoriali e monarchici. Che poi fosse repubblica aristocratica e non democratica è un'altro paio di maniche, non erano ancora maturi i tempi della storia per la democrazia (quella vera come per esempio in Svizzera). Insistere su oligarchia è segno di non conoscenza della storia veneta e fors'anche d'un inconscio desiderio di sminuire la grandezza, la civiltà e l'unicità della Repubblica Veneta onde farla apparire ai veneti (e non solo) come un nemico storico da odiare (chissà perché e da dove arriva questa induzione nei giovani!). L'oligarchia è ben diversa, secondo la tua logica si potrebbe senza tanto forzare le cose affermare che anche la Repubblica Italiana odierna è un'oligarchia e non una repubblica democratica. Infatti la finzione-meccanismo della rappresentativa senza vincolo di mandato ecc., di fatto espropria della sovranità il popolo, e i ceti politici della rappresentatività si costituiscono, sempre di fatto, come un ceto dominante oligarchico con trasmissione ereditaria del seggio (carega). A seguire la cronaca dei dibattiti politici, dei giuristi politici nei convegni e della stampa, si trova spesso il termine oligarchia e regime oligarchico riferito all'odierno sistema italiano. --Paolo sarpi II 09:10, 24 gen 2006 (CET)

Concordo pienamente con Paolo Carpi e francamente non comprendo con quale cervello si debba

ritenere non neutrale l' articolo sul governo della serenissima. Sin tanto che ragioniamo con i nostri punti di vista moderni ( per non dire pregiudizi) non capire mai inulla.. ma poi siamo proprio sicuri che i Governi di oggi siano democratici siamo proprio sicuri poter tacciare di non neutralita' chi si appassiona per la storia di questa citta' che ricordialmolo era un vero e proprio impero e raggiunse splendori che la nostra povera italietta mai raggiunse dall' unificazione in avanti...mi verrebbe da dire che ha raggiunto una certa grandezza sotto il fascismo ma sarei tacciato di reazionario etc etc ritengo che a volte su wikipedia il punto di vista non neutrale sia in realta politically incorrect...PREGIUDIZI --άλβαρο 12:02, 27 mag 2006 (CEST)

Sono anchio del parere che l'articolo non sia neutrale ma perchè è sbilanciato invece in una visione idilliaca della repubblica di Venezia,manco fosse il paradiso in terra. Per quanto riguarda la forma repubblicana ci si deve ricordare che non basta il nome a fare uno Stato democratico (basta ricordare che a tutt'oggi in tutto il mondo ci sono Stati che si fanno chiamare "repubblica" e sono di fatto dittatura). Il fatto poi che le genti sottoposte al dominio di Venezia fossero contente d'esserlo non è certo perchè si sentivano parte della "nazione" veneta (non credo che nessuno, doge o contadino, abbia poi mai utilizzato quest'espressione nei 1100 anni di storia della serenissima) ma perchè la città assicurava ai territori sotto il suo dominio l'ordine e la sicurezza allo stesso modo di come avrebbero fatto in seguito le potenze europee nelle loro colonie, senza cioè cedere in materia di democrazia o uguaglianza nei confronti dei conquistati. Infine ricordo a tutti che la tanto bistattata Italia é al momento il settimo paese più industrializzato del mondo (cosa che la nostra venezietta non raggiunse mai)

Ciao a tutti! Sono WikiGian, ultimamente mi sono occupato di modificare e ampliare questa pagia. Ma solo nella parte storica antecedente alla segnalazine di parzailità nella descrizione della forma politica della Repubblica di Venezia. Non sono in possesso delle conoscene storiche epr poter modificare questa parte, ma anchi'io sono sel parere che vada revisionata.
Per quanto riguarda la discussione relativa all'esistenza o meno di una "nazione veenta", io porto solo le mie modeste conoscenze in ambito storico. Mi risulta, a tal proposito, mi risulta come dato storico docomentato che, tra il XIV e XV secolo, Venezia sia intervenuta più volte in conflitti per salvaguardare, e sono parole dell'epoca, la "libertà d'Italia". Ripeto, nel caso non fossi stato in grado di chiarire il concetto: Venezia entra in guerra per salvaguardare la libertà d'Italia.
Ora, rimane da chiarire cosa intendessero i Veneziani del XIV secolo con l'espressione "libertà d'Italia". Questa espressione fa riferiemnto a un concetto diverso da quello che noi oggi intendiamo con la stessa espressione; si trattava di salvaguardare l'indipendena degli Stati italiani che rimanevano indipendenti e divisi dall'intromissione delle potenze "straniere". Non si tratta di unificare la penisola, ma di evitare che interessi esterni alla penisola entrino in essa. QUesto, del resto, non escludeva le lotte con gli altri stati italiani.
Vi cito un passo dal libro di Gino Benvenuti dal Titolo "Le Repubbliche Marinare. Amalfi, Pisa, Genova, Venezia" indicato, fra l'altro, nella bibliografia di questa pagina: "Durante lo svolgersi degli avvenimenti relativi all’assedio di Pisa del 1494-1509. la Serenissima, seguendo la sua politica tendente ad assicurare la “libertà d’Italia” con l’eliminazione di ogni intervento straniero, era corsa a soccorrere i Pisani nella dura lotta per salvare la restaurazione repubblicana."
--WikiGian 20:52, 12 dic 2006 (CET)

[modifica] correzioni

confermo l'intervento precedente e ho quindi proceduto alle relative correzioni:

1) non mi risulta affatto la presenza di isole linguistiche venete nel Bosforo; 2) non corrisponde al vero che le città dell'Entroterra si sarebbero federate pacificamente (nel testo peraltro vi era un'altro paragrafo corretto che parlava di annessione a Venezia). Venezia era detta - non per nulla - la Dominante, perché lo Stato era retto dall'oligarchia della città di Venezia nell'esclusivo proprio interesse; 3) vi erano poi una serie di ripetizioni e salti cronologici.

La voce andrebbe comunque verificata e completata. Ottimo il testo su de.wiki --Massimo Macconi 12:06, 25 mag 2006 (CEST)

[modifica] GoVerno NPVO

La descrizione idilliaca del Governo della Serenissima mi sembra eccessiva. Ricordo solo che quando Napoleone decretò la fine della Repubblica, gli illuministi addittavano - sicuramente per ragioni politiche - la Repubblica a bieco esempio di governo di ancien règime. Probabilmente la verità sta nel mezzo--Massimo Macconi 12:13, 25 mag 2006 (CEST)

...be se tu prendi come parqadigma di ogni giudizio cio' chre gli illuminisrti ritenevamo essere il governo ideale siamo a posto...saluti--άλβαρο 17:40, 27 mag 2006 (CEST)

Gli illuministi francesi al servizio dell'impero francese e di Napoleone, l'Attila corso, facevano come gli schiavisti che per giustificarsi affermavano anche con "argomentazioni di altissima scienza" che gli schiavi non erano uomini ma animali o che erano anime morte, senz'anima come si riteneva fossero gli animali. Ti suggerisco di studiare la storia della Veneta Repubblica e della sua aristocrazia, mille volte più onorevole e onorata dell'oligarchia partitocratica della repubblica italiana continuazione dello stato italiano, costruito sul modello dello stato francese prodotto dalla rivoluzione giacobina e dalla restaurazione imperiale napoleonica.

§§§ non vedo alcuna descrizione idiliiaca ma semplicemente la descrizione dell'organizzazione della Repubblica di Venezia pertanto invito a togliere la segnalazione NPVO--Breg 14:44, 1 set 2006 (CEST)

[modifica] Incompletezza Articolo

mi sermbra che per l'importanza nel bene o nel male che rivestì la repubblica veneta nella nostra storia ed in quella dell'europa, lo spazio dedicato in questo articolo sia troppo esiguo e per di più frammentario. Pregherei che ne sa di più di ampliare e sistemare secondo una gerarchia più intelligente di contenuti il tutto.

[modifica] Giustizia e oligarchia veneziana

Il diritto, nel cosidetto dogado della Serenissima era una specie di Common Law, mentre nella terraferma veneta, la fonte primaria era il diritto giustinianeo, come del resto in tutto il continente. Quando i veneziani mandavano in terraferma i suoi rettori, (non erano dei giudici-professionisti), per giudicare le varie cause, civili o penali che fossero, andavano più, per così dire, a naso che non impegnarsi sui vari codicilli, e solitamente mediavano tra le parti. Comunque non erano più buoni degli altri: pensiamo ad esempio un contadino che avvesse commesso un delitto di sangue nei confronti di un nobile o di un patrizio... La repubblica di Venezia era quello che era, ossia uno stato di antico regime, nel bene e nel male.

Saluti a tutti voi.--AdBo 18:10, 3 lug 2006 (CEST)

A proposito di "giustizia veneta" consiglio di leggere un'ottimo lavoro dello storico Edoardo Rubini edito da Filippi Editore Venezia e intitolato "GIUSTIZIA VENETA". Anche l'avvocato costituzionalista Ivone Cacciavillani ha pubblicato numerosi lavori che illuminano sulla grandezza e la civiltà della Veneta Repubblica. La giustizia della Veneta Repubblica non era affatto come quella di tutti gli stati di antico regime che oltretutto non erano repubbliche ma monarchie e signorie assolutiste. Gentile AdBo ti suggerisco di studiare un pò di più prima di emettere sentenze.

Per capire meglio lo spirito veneto, la sua giustizia e la sua oligarchia aristocratica.

............. Avogaro, Badoer, Balbi, Barbarigo, Barbaro, Basadona, Bolani, Bon, Bondumier, Bragadin, Canal, Cabriel, Cappello, Cicogna, Qvran, Contarini, Colalto, Condulmer, Corner, Correr, Dandolo, Diedo, Dolce, Dolfin, Donà, Duodo, Erno, Erizzo, Falier, Foscari, Foscarini, Foscolo, Garzoni, Gozi, Gradenigo, Grirnani, Gritti, Mando, Lion, Loredan, Malipiero, Marcello, Marin, Mani, Michiel, Mocenigo, Molin, Morosini, Da Mosto, Nani, Orio, Pesaro, Pisani, Pizamano, Alani, Priuli, Querini, Renier, Rezonico, Ruz'ini, Sagredo, Sardi, Sanudo, Savorgnan, Soranzo, Tiepolo, Trevisan, Tron, Valaresso, Valier, Valmarana, Vendramin, Venier, Vitturi, Zen, Zorzi, Zustinian.

Un pensiero devoto va ai Padri, i cui nomi celebri in mezzo a tanti altri appartenenti a "caxade" altrettanto antiche ed illustri ci riportano alla storia della Repubblica, che pure non è appannaggio di famiglie o gruppi, ma patrimonio comune di un intero popolo: i Veneti.

Le radici culturali di questa nazione risalgono all'alba dei tempi(E DAJE:MA DI QUALE CAZZO DI NAZIONE STATE PARLANDO?): d'essa parlano i più grandi tra gli antichi scrittori, trovandosi le citazioni più antiche in Omero, seguito da Alemane, Euripide, Erodoto, Teopompo, Polibio, Tolomeo, Strabone, Plinio il vecchio, Tacito, Tito Livio, Marziale, Virgilio e altri ancora(C'HAI IL CASTAGNACCIO SUGLI OCCHI?NESSUNO DI LORO PARLA DI NAZIONE, SEMMAI DI TRIBù BARBARE).

I Veneti durante l'Età del Bronzo popolavano vaste terre dell'Europa Centro-orientale comprese tra il Mar Baltico ed il Mediterraneo. La civilizzazione che portarono ha lasciato un'impronta inconfondibile in vari campi, non escluse le istituzioni politico-giuridiche. Le singole comunità si reggevano con assemblee democratiche, pur articolandosi in diverse classi sociali (senza s-ciavi), ed erano tenute insieme da pacifici rapporti di tipo confederativo, basati sullo scambio e sul reciproco aiuto.

I mutamenti geopolitici intervenuti in seguito all'espansionismo romano non incisero sull'identità nazionale veneta, sicché agli albori del Medioevo poté prodursi l'embrione politico di un nuovo Stato. Fecero così la loro comparsa i Veneti Secondi, come li ribattezzò Filiasi.

I millecento anni della splendida Repubblica Veneta possono essere additati senza timore di smentite come raro esempio di democrazia compiuta nella storia dell'umanità.

L 'intensificarsi dei rapporti sociali e le mutate dimensioni territoriali indussero un modello di Stato costruito con più salda struttura, nondimeno la Serenissima si resse sul consenso collettivo e mantenne, nei suoi territori, quelle forme arcaiche di democrazia diretta che aveva conosciuto nel corso delle sue acquisizioni. Si veda il caso delle Convalli di Antro e Merso: le fedeli comunità slovene della Schiavonia assolvevano l'importante incarico di custodire ogni giorno i confini nordorientali dello Stato con duecento uomini, vedendo sempre confermati, grazie a questi loro servigi, i tradizionali privilegi. In forza di questo patto, la Slavia Veneta si autogovernò, mantenendo inalterata la sua identità etnica.

E' ancora il caso della comunità montenegrina di Perasto, che godette di un'autonomia amplissima, grazie alle circostanze in cui avvenne la sua dedizione: nel 1368, durante l'assedio di Cattaro, questa cittadella offrì spontaneo soccorso all'Armata Veneta. I Perastini eleggevano presso di loro 12 volontari, i più valorosi esponenti della loro nobiltà, cui era riconosciuto il titolo di Gonfalonieri e nei combattimenti navali spettava loro difendere le sacre insegne di San Marco fino alla morte.

I principi salienti dello stabile ed equilibrato sistema politico veneto vanno ricondotti a due fattori fondamentali: l) la forte responsabilizzazione della classe dirigente, costruita su basi adeguatamente larghe ed omogenee, 2) l'estromissione di tutte le altre fasce sociali dalla politica attiva.

Si crearono così una compagine ed uno stile di governo cementati da un'irriducibile condivisione di valori, che non offriva spazi al formarsi di fazioni o partiti, né a semplici accordi, cartelli od intese, né al vano rincorrere i favori popolari, né alla sterile concorrenza tra avversari politici. Le ambizioni personali erano bandite, represse come causa d 'ogni male, il germe infetto da purgare nel perseguire una vera etica del potere: le più alte cariche erano trattenute in un intreccio di limitazioni e di controlli così fitto, che talora la prassi riservava qualche piccola umiliazione a chi le occupava, se questo giovava alla salute dello Stato. Eppure il popolo riusciva ad essere parte integrante di quel sistema: la volontà delle genti lagunari riunite in Arengo fece sorgere il Dogado, elesse tutti i Dogi fino al milleduecento e sempre al popolo fu rimesso il potere dall abdicante Maggior Consiglio nel 1797. Il bene universale era il riferimento sicuro delle scelte politiche. Il sistema era, dunque, democratico perché riproduceva negli organi di governo i processi di confronto e di sintesi di libere opinioni (in precedenza espresse nelle assemblee popolari) e perché le scelte così maturate rappresentavano davvero la volontà della Nazione. Le Arti organizzazioni di categoria al cui interno era organizzata la classe lavoratrice rispecchiavano la struttura e la filosofia dello Stato, promuovendo l'autogoverno del settore economico d'appartenenza, presso tutti i lavoratori. Spirito popolare e spirito aristocratico si compenetravano mirabilmente, ad edificare lo splendore repubblicano. (MA CHI L'HA SCRITTE STè BOIATE?!BORGHEZIO?) Misurare l'essenza democratica di uno Stato su meri canoni formali conduce a madornali fraintendimenti: per il potere costituito non v'è niente di più facile che ridurre il consenso a mera fnzione. Anche il coinvolgimento nel suo esercizio può scadere a vuota ritualità, come accade oggi con lo stanco ripetersi delle consultazioni elettorali. Sulla scorta di superati schemi ideologici, tanti studiosi perpetuano l'equivoco di una pretesa ascendenza oligarchica insita nel nostro sistema di governo nazionale; spesso si mistifica il ruolo giocato nell'assetto costituzionale dall'Eccelso Consiglio dei Dieci o dagli Inquisitori di Stato. Noi Veneti chiamiamo "tiranti" quelle strutture metalliche che vediamo spuntare dai muri dei vecchi palazzi, quando facciamo un giro per il "Canalaso": privato del loro sostegno, forse il bell’edificio crollerebbe, sicché dovremmo giudicare tali congegni come necessari alla sopravvivenza dell'intera struttura. Tuttavia, a chi chiedesse quali siano gli dementi qualificanti del palazzo, si dovrebbe rispondere esaminando i suoi canoni architettonici ed estetici, lasciando in secondo piano il discorso sugli interventi occorsi per successive contingenze. Nel caso di una compagine statuale, poi, tali contingenze sono ancor più superabili dei problemi statici di un palazzo, giacché la Repubblica, evolvendosi, era in grado di mettere da parte una magistratura o un metodo di formazione decisionale e di produrne di più aperti, aggiornati e consoni alle esigenze da affirontare. Fuor di metafora, a nessuna singola magistratura per quanto grande, terribile, insopportabile, odiosa" (così il N.H. Renier Zen usava ingiustamente apostrofare l'Eccelso Tribunale nel Seicento) - si può attribuire un ruolo egemone all’interno di quel delicato gioco di contrappesi istituzionali, prioritariamente finalizzato all'equilibrata distribuzione del potere. L'istituzione di un alto tribunale politico ha risposto alla necessità storica di proteggere la Nazione proprio da derive egemoniche ed oligarchiche. Vari autori anglosassoni hanno voluto dimostrare che il potere a Venezia era tenuto in poche mani. Secondo GrendIer su 800 cariche complessivamente ricoperte dal patriziato (oltre all'appartenenza al Maggior Consiglio), erano 60 i posti chiave di governo. Secondo Davis, tenuto conto dell 'obbligo della "contumacia'; ci volevano cento patrizi per ricoprire le magistrature più importanti. Secondo Lowry era un gruppo più ristretto di circa trenta nobiluomini a monopolizzare la politica veneziana nell’arco di una generazione. C'è da complimentarsi con i loro sforzi di ridurre tutto a cifre e a dati quantitativi, ma l'intellettuale dovrebbe mirare alla qualità del dato storico. In realtà, tanti collaudati schemi ideologici tranquillizzano gli studiosi, mettendoli al riparo dalla verità.

Dati numerici che quantificano il potere di trenta, cento, sessanta o dieci uomini di governo poco significano, se non si comprende che tra i Veneti el controllo del potere non era affatto esclusivo, come lo era nelle monarchie.

Per l’uomo di Stato veneziano, l'incarico pubblico era un onere gravoso (commisurato all'alto l'onore che conferiva), tuttavia erano i nobili al servizio della Patria, non la Patria a servizio loro. Si consideri il profilo di questa classe dirigente: quegli uomini non si erano affermati grazie alle loro facoltà economiche, ma grazie alle loro capacità personali. Le cariche maggiori avevano carattere onorifico (cioè non erano retribuite) e certo la piccola nobiltà aveva minore possibilità di accedervi, ma ciò non impedì brillanti carriere a chi godeva della stima generale. Tutti i documenti sono là in archivio, a perenne memoria di quanto sacrificio sia costato far vivere giustizia e libertà per tutti.

Nel nostro mondo, invece, politica e potere non si concepiscono se non in termini negativi, sicché risulterà scomodo spiegare che un tempo le cose andavano in modo diverso. Una volta definita la nostra Repubblica "oligarchia d'ancien régime", per la storia ufficiale tutto diventa semplice. Nell'esperienza quotidiana, del resto, il concetto di democrazia entra in crisi ogni giorno di più. All'Università s'insegna che l'attuale modello di Stato liberal-democratico rappresenta la perfezione. Un costante martellamento ideologico celebra senza sosta l'apoteosi dell'illuminismo.. Oggi è convinzione comune che per aversi una democrazia basta dichiarare che la sovranità appartiene al popolo, dividere tra loro i poteri pubblici, rendere elettive le assemblee rappresentative, formare il governo sulla maggioranza dei loro consensi, instaurare in-fine l'eterno conflitto tra maggioranza e opposizione. Personalmente, vedo un altro dato sostanziale su cui dovrebbe misurarsi la democraticità del sistema; la capacità degli Stati di identificarsi nei gruppi nazionali di riferimento o, se si vuole, creare vera solidarietà tra popolo e classe di governo. Per far sì che ciò accada, è necessario che i governanti siano la più alta espressione della tradizione culturale di un certo popolo. Se ciò non è, i discorsi sulla democrazia diventano astrusità buone solo a confondere le idee. Sempre e comunque sarà una minoranza a governare: si tratta di capire che cosa rappresenti questa minoranza. Esprime la cultura di una Nazione? O esprime un aggregato incoerente di interessi contrapposti?

Nella democrazia della Veneta Repubblica governavano i migliori. A fungere da parametro di giudizio erano i valori etnici. Oggi si può parlare ancora di nazioni? In caso non esistessero più, su cosa si sorreggono le compagini statuali? Si ha l'impressione, davanti alla politica odierna, che democrazia sia divenuta sinonimo di governo dei peggiori.

Ultimamente, sono emerse correnti di pensiero neoconservatrici che respingono in blocco le tesi illuministe, prendendo a modello tutti gli Stati precedenti la Rivoluzione:: ma i Veneti possiedono una specifica esperienza storica, di cui va presa coscienza. Inoltre, l'Illuminismo ha prodotto dei mutamenti che non si possono ignorare: bisogna piuttosto discernere tra i suoi contenuti, riconoscendo i suoi limiti. Quell'ideologia ha come fondamento il materialismo, che non è più una certezza. L'uomo d'oggi soffre di rigetto da benessere e corre ansiosamente senza meta, sprovvisto di valori in cui riconoscersi. Avevano spiegato a tutti che Dio è morto, eppure oggi siamo sottomessi al dio-denaro; il meschino interesse personale non spiega il senso della vita, così viviamo nel regno della utilità e dell'insipienza. Tutti reclamano diritti, anche alle cose più assurde. Nessuno dichiara di avere dei doveri. I doveri, infatti, si fondano sui valori e senza gli uni viene a mancare il significato degli altri. L'amore per la Patria non si sa più cosa sia. Colpa delle ideologie di destra, che hanno concepito il nazionalismo come sradicamento violento delle forme culturali non omologhe a quella ufficiale dello Stato. Colpa delle ideologie di sinistra, che hanno concepito l'internazionalismo come aspirazione a mescolare tra loro i diversi gruppi etnici, creando le premesse per la distruzione delle identità nazionali. Colpa di un mondo dove è la televisione, portavoce occulta dell'ideologia ufficiale, a decidere cos'è bene e cos male. Questo lavaggio dei cervelli collettivo è responsabile dell'informe sotto-cultura di massa che predomina ovunque.

E tempo di passare oltre. La nostra Repubblica ha tanto da insegnare(MI CI PULISCO IL CULO CON LA TUA REPUBBLICA).

I Veneti, essendo stati Naz(E NO BASTA!!!) cosciente attraverso i millenni, non hanno mai praticato forme di nazionalismo, riuscendo invece a favorire la pace e la fratellanza tra i popoli. Il senso d'appartenenza alle proprie radici era così forte che lo Stato riuscì ad essere plurinazionale: terre slave e greche si aggregarono, ma quelle genti, che si consideravano comunità fedeli al Dominio di San Marco, mantennero indisturbate il loro patrimonio etnico e linguistico, ognuna libera e sicura sul proprio territorio. Il più omogeneo nucleo veneto-friulano-istriano si componeva a sua volta di un complesso di magnifiche comunità. L'unione era data, oltre che da comuni radici culturali, dall'avanzata concezione federalistica posta alla base dei reciproci rapporti. Mai, poi, nei quattro secoli di lotta senza quartiere contro la potenza ottomana, si conobbe odio ideologico o religioso, ma solo l'incrollabile difesa di giusti valori e dell'amata fede cristiana; durante la battaglia di Lepanto, a Venezia la vita scorreva serena per la comunità tutta. Intellettuali moderni come Indro Montanelli hanno affermato che Venezia non si sarebbe dimostrata un vero Stato. Se il modello cui ci si ispira è il revanscismo italano, è chiaro che cambiano i parametri di giudizio. Per risolvere i loro problemi, la monarchia sabauda e le gerarchie burocratiche succedutesi nella penisola, non hanno certo lesinato coercizioni e violenze. I cosiddetti Stati nazionali, in genere, non hanno usato sistemi diversi. La Francia è stata costruita sulle macerie delle culture diverse da quella borghese-parigina (per esempio a danno di Provenzali e Bretoni), la Spagna sul la sottomissione di Catalani e Baschi al predominio dei Castigliani, la Gran Bretagna sulla colonizzazione violenta di Irlandesi, Gallesi, Scozzesi da parte della monarchia inglese, così come la Serbia ha oppresso Sloveni, Croati, Bosniaci e Montenegrini. Non sono certo questi gli unici esempi di nazioni antiche i cui diritti sono stati violati: si può dire che dal Medioevo al Novecento lo Stato ha di continuo rafforzato i propri strumenti di condizionamento. Oggi, invece, conosce una fase di declino, che non sarà per forza foriero di libertà. Il campo viene lasciato libero a potenti gruppi di interesse economico organizzati su scala sovrastatale, sicché i vecchi metri di giudizio per misurare la democrazia si dimostrano ancor più inadeguati.

Venezia fu un esempio unico di onestà e di correttezza: al suo interno nei confronti dei sudditi, e al suo esterno nei confronti degli altri popoli. Signora del Mediterraneo e di tante vie di traffico per l'Europa, non ha perseguito alcuna politica imperialista, mirando solo ad assicurarsi i suoi sbocchi commerciali. Tutte le aggregazioni territoriali si sono ottenute sulla base del consenso e del diritto internazionale. Le famose "dedizioni" (adesioni di Città e Terre alla Repubblica) comportavano il riconoscimento degli Statuti locali (ogni comunità manteneva le proprie leggi particolari), cui fu sempre tenuto fede.

Si guardi alla vergognosa politica coloniale inaugurata nel Cinquecento da Portogallo, Stagna, Olanda, Inghilterra, Francia, Germania, Belgio e per ultimo dall' Italia, segnata dalla cruenta sottomissione di genti orgogliose della propria libertà, attuata mediante lo sfruttamento selvaggio delle loro risorse e la distruzione d'immensi patrimoni culturali. L'aggressione dell’Africa, delle Americhe, di parti dell'Asia è stata giustificata con la stessa idea di progresso di cui oggi ci si serve per espandere imperi economici.

Non si dica che, volendo, i Veneti, con la loro potenza economica e politica, non avrebbero potuto partecipare al grande saccheggio. Chi di regola porta rispetto per il prossimo non lo fa per interesse, ma in buonafede. Si ripensi, dunque, all'esempio datoci dai nostri Padri. Soprattutto in questi giorni, in cui uno Stato logoro e in crisi di legittimazione pone il problema, ma anche la prospettiva, di un diverso esercizio della sovranità, lo studio e l'amore per la storia possono e devono fornire le risposte per il futuro. Né il diritto, né la politica devono prescindere da un superiore senso di giustizia, frutto di un preciso ordine etico-morale. Nella Serenissima, anche tensioni legate all’interesse particolare non hanno mai prevaricato il corretto ed ordinato svolgersi della vita istituzionale. Ritorni alla memoria il dettato della Parte con cui il Maggior Consiglio estese le competenze dei Decemviri il 25 settembre 1628: «Che per conservare la pace e la quiete tra i sudditi della repubblica e la sicurtà dei medesimi dalla oppressione dei potenti e grandi, contro li quali fosse necessaria la segretezza per venire in luce dei loro delitti, come materia importante e propria d 'ogni buon governo, sia data autorità ad esso Consiglio dei Dieci di assumere quei casi i quali per la loro importanza meritassero di essere ispediti non solo con pena rigorosa, ma brevemente, ad esempio e terrore dei malviventi e sollievo degli oppressi».

Si osservi come in ogni tempo l'Eccelso Tribunale e gli Inquisitori di Stato onorassero fedelmente questo mandato; allora si comprenderà che era tale funzione antioligarchica il motivo della loro popolarità presso la gente comune. Ogni suddito sapeva che inoltrando una denuncia segreta (sottoscritta con il proprio nome), o presentandosi di persona, poteva far incriminare qualsiasi gentiluomo che si fosse macchiato di gravi colpe, per quanto questi fosse facoltoso potente. Il nome dell'accusatore sarebbe restato coperto da segreto, sicché egli non aveva da temere ritorsioni, inoltre lo Stato lo avrebbe adeguatamente ricompensato L’insigne costituzionalista Maranini é stato quasi l'unico autore a leggere il dilatarsi ed il contrarsi delle competenze dei Dieci alla luce delle esigenze oggettive dell'ordinamento; in effetti, i trapassi di funzioni tra Magistrature sono avvenuti consensualmente, talora dando luogo ad accesi dibattiti, ma senza trascendere, o solo far balenare, soluzioni in contrasto con la tradizione.

Una forte carica ideale animava l'intero sistema politico. Il continuo ruotare del patriziato da una carica all’altra creava una mentalità così elastica, da radicare in ognuno anche il punto di vista del proprio interlocutore. L'asservimento di tutte le risorse umane e spirituali al bene generale si accompagnava a grandi aspettative sull'intenzione e sull'operato del singolo. Si voleva che ognuno ascoltasse con attenzione gli altri per ponderare bene le decisioni e, finalmente, restasse solo con la propria coscienza nel momento di deliberare.

Guai a tradire la fiducia del popolo!

Questo atteggiamento è rimasto scolpito nell'immagine del Serenissimo Doge in ginocchio davanti al Leone Marciano, che contempliamo sulla facciata di Palazzo Ducale. Non è quella possente creatura mitologica a rappresentare lo Stato, come crede Wolters, dato che tale funzione è affidata alla figura del Doge stesso; quella forza ultraterrena - cui il potere si inchina - è, in realtà, lo spirito immortale della nazione veneta.

Ad oltre due secoli dalla caduta in oblio della Sovranità Veneta, ancora riecheggia l'insegnamento dei nostri Antenati: "Sono due gemelle la Libertà e la Dignità della Patria!", argomentava nel 1646 Jacopo Marcello, incombendo la minaccia ottomana, davanti alla quale non era concesso perdersi di coraggio. Oggi alla Patria Veneta è persino negato il diritto di considerarsi tale.

I diritti, però, non sono quelli concessi dal padrone: sono, invece, quelli scritti nella nostra coscienza con l'inchiostro della verità e della fede.


Ricomincia l'esaltazione di Veneti, Serenissima Repubblica, ecc. ecc., con sommo scorno di tutti i puzzoni (da Napoleone in avanti) che hanno fatto decadere questa forma perfetta di civiltà e governo? Uffa! --Duroy 10:15, 20 ago

2006 (CEST)

Se per te, invadere la terra di un popolo pacifico, massacrare le sue genti, depredarlo in tutto, distruggere le sue millenarie istituzioni e ridurlo in miseria, è cosa buona e giusta allora con te non servono le parole. (Si prega di non sottrarre alla vista di tutti, gli interventi degli altri che non ci piacciono, spero che il sottrattore non sia un insegnante o peggio ancora, un futuro insegnante nella scuola dell'obbligo).

[modifica] Sull'origine storica di Venezia e della Repubblica Veneta

Si prega di non sottrarre fraudolentemente agli utenti di Wikipedia, utili informazioni... Conoscere per deliberare, per raccontare e per descrivere la storia e non da ultimo per fare buona enciclopedia.

L'autogoverno veneto anteriore al Dogado.

Un nodo fondamentale della storia veneta, denso di implicazioni in campo istituzionale, è rappresentato dalla vicenda che precedette la costituzione ufficiale della Veneta Repubblica, avvenuta nell'anno 697 con l'elezione del primo Doge, Paoluccio Anafesto.

Motivo costante della storiografia veneta, che si snoda attraverso i secoli con nomi illustri - quali Giovanni Diacono, Andrea Dandolo, Bernardo Giustinian e tanti altri - è la nascita della Repubblica in forma di indipendenza sia dall'Impero bizantino, sia da quello germanico.

L'argomento é divenuto un tabù per la storiografia moderna, che non lo ha mai affrontato con la dovuta serietà. L'opera Principj di Storia Civile di Vettor Sandi ha il merito di tracciare la storia repubblicana di Venezia seguendone l'evoluzione istituzionale.

«Ripugnava alla verità donar supposti fantastici alla nazione»: tale spirito guidò l'autore settecentesco nella sua critica sul fondamento della data di fondazione della città, il 25 marzo 421, che allora rappresentava una tradizione cara al sentire del popolo . Non di meno l'opinione generale accolse con favore l'impostazione culturale di questo studioso. Sandi assunse a riferimento cronologico, con valore meramente indicativo, l'anno 453, successivo all'invasione degli Unni.

In quell'epoca nessun governo straniero controllava il territorio lagunare, dato lo stato di libertà dei suoi originari abitanti, come pure di quelli pervenuti dalle circostanti città venete minacciate dalle invasioni straniere. Facendo una breve riflessione sulla popolazione lagunare, ai nostri giorni si succedono di continuo importanti scoperte archeologiche comprovanti la presenza di floridi ed evoluti insediamenti nelle isole, in epoche di gran lunga anteriori al 421 d.C..

Il cuore della prima Venezia risiedeva nella celebre Altino, il cui porto un tempo si affacciava sulla laguna; i reperti più antichi ne attestano una chiara matrice paleoveneta. A Sandi sta a cuore il concetto che tra i nuovi abitanti pervenuti nei centri costieri vi erano i maggiorenti di città già cariche di storia: Padova, Este, Monselice, Altino, Oderzo, Concordia, Aquileia ed altre ancora. Le comunità lagunari, dunque, raccolsero in sé l'eredità culturale di una più ampia ed antica regione denominata Venetia.

In quest'ottica, la futura città di San Marco nasce come crogiolo di antichi centri urbani e come quintessenza di una grande civiltà: quella veneta.

«Lo spazio di questi due secoli e mezzo [dal 453 al 697], tra quali corse la prima polizia de’ Veneziani, il Tribunato, ci offerisce ... le occasioni, che fecero crescer Venezia di popolo». «Mostrò il tempo, e natura delle cose insinuò agli abitanti delle Veneziane Isole che, senza società civile, tra tutte non poteva ognuna separata proveder da se ai bisogni, e comodi della vita ... era somma la debolezza degli Imperadori ultimi di Occidente, ed erano assai poche in Italia le forze dell'Oriente con la Corte lontana; cose ... che certamente avranno presentato agl'Isolani nella maggior efficacia l'oggetto della unione indipendente». «Non ogni Isola da per se tolta pensò a formarsi una piccola solitaria società ... così che dopo un separato casualmente simile consiglio siansi trovate convenire in ciò, che non avessero insieme deliberato». «E perché nessun governo sta senz'ordine, l'ordine stabilito al Tribunato fu questo: Che ogni Isola si eleggesse il Tribuno proprio, da cui le fosse amministrata la criminale giustizia, e la civile: che negli affari riguardanti la comunione dell'Isole, si unissero a consultarne, e deliberarne pria tutti i Tribuni: riserbata all'università del popolo l'adunanza, a cui si notificassero le comuni cose gravissime, in mezzo ad essa agitandole, lo che all'uso dell'antico Lazio Romano fu denominato Concione, e poi con Veneziana favella anche Arringo; ma che ai Tribuni stessi fosse lasciato il diritto di convocarla». «Primieramente escluso ben subito il pensier di un Monarca, si scelse un ordine, che quantunque porti aspetto di mista Democrazia, non lo è in essenza, essendo certo, che dal Tribunato stava la dipendenza della Concione».

Ignoro quanti intellettuali veneti si fossero resi conto, sino a quel momento, che presso i nostri antenati vigeva un sistema democratico(anche se non ancora popolare), ancora attivo nel Medioevo. Certo la scoperta creava al nostro autore non poco imbarazzo: in piena età dei lumi, quando già circolavano pensieri d'impronta prerivoluzionaria, egli si trovava a dover spiegare come mai, tanti secoli prima, l'esercizio (ma non la titolarità) del potere politico fosse stato tolto dalle mani del popolo. Inoltre, nel riportare con fedeltà questi fatti storici, egli si mostra incredulo sulla reale possibilità di funzionamento delle assemblee popolari, impegnate in delicate scelte politiche e gravate da supreme incombenze: si ricordi che ad esse spettarono le elezioni dei dogi fino all'anno 1268, quando entrò in vigore la riforma successiva alla morte del Doge Ranieri Zen.

Sandi osserva giustamente che la società veneta era sempre stata divisa in classi, vigendo tale struttura sociale stratificata sin da tempi remoti. Tuttavia, anche nel Medioevo, la vita pubblica poté svolgersi in modo assembleare, poiché si svolgeva in diverse condizioni storiche: densità demografica assai più scarsa, assenza di grandi concentrazioni urbane, minore mobilità sul territorio, assetto sociale più stabile. Ciò metteva in grado anche i ceti popolari - a prescindere dall'appartenenza a città, villaggi, o a casali isolati - di concorrere direttamente alla gestione delle cose comuni, secondo un ordine consolidatosi nel tempo. Un sistema federale basato sul totale autogoverno delle comunità si era dimostrato inadeguato quando sulla scena apparvero invasori non effimeri (come gli Unni), ma incursori accaniti e con mire espansioniste (come i Longobardi): la situazione veneta, in particolare, si mostrava drammaticamente esposta a pericoli esterni ed il traffico commerciale necessitava di protezione. L'originaria federazione veneta, denominata da Sandi Consesso Tribunizio, fu l'embrione politico che portò alla costituzione del Dogado.

Al tramonto del Medioevo, tuttavia, questo sistema politico dovette modificarsi per il mutare delle condizioni generali, dando vita ad una più salda struttura statuale.

Dodici erano le isole che in origine costituirono la federazione, per la metà sede di vescovado; nove erano invece quelle che detenevano i tribuni maggiori, con giurisdizione su altre isole minori. L'elencazione (da nord a sud) ci viene fornita da Giovanni Diacono: Grado, Bibione, Caorle, Eraclea, Jesolo, Torcello, Murano, Rialto (comprensiva di Olivolo), Malamocco, Poveglia, Chioggia minore, Chioggia maggiore.

Dopo l'invasione dei Longobardi nell'anno 569 (nel 602 cadono Padova e Monselice e nel 639 Oderzo e forse Altino) la popolazione aumentò, sicché il numero dei Tribuni fu raddoppiato, elevandosi a ventiquattro, «tutti però componenti quel consesso Tribunizio, che fu radice della Veneta Aristocrazia, cioè il primo Conseglio Veneziano, allegandosi epistole iscritte da essi, quando occorreva col nome del Conseglio, cioè: Noi Tribuni delle Isole Marittime».

Secondo Sandi non si sa «se la scelta delle particolari persone in Tribuni al primo tempo, e fino al Dogado sia stata in diritto delle respettive popolazioni di ogni Isola, o quale altro fosse il modo di eleggerle» ma, «altro non rimanendo adunque che ... prender la ragione per guida», si può ritenere che la scelta fosse rimessa ai maggiorenti dell'isola, con successiva approvazione da parte degli abitanti. Sandi descrive le funzioni del "grande Arengo", l'assemblea plenaria formata dalla gente di tutte le isole, cui il consesso tribunizio rimetteva la decisione (o l'approvazione) degli affari generali: gli antichi trattati riferiscono che si teneva ad Eraclea (Cittanova) ed infatti li avvenne l'elezione del primo Doge.

«Parte gravissima della prima polizia civile, e soda base dell'Aristocrazia Veneziana fu il Conseglio de' Tribuni uniti; intorno al quale indicato già da tutti gli Storici Veneziani, niuno si prese cura di ragionarne ... in determinati giorni si univano i Tribuni a consultar, e deliberar tra se stessi de' comuni affari, riserbato poi a questo Consesso l'arbitrio indipendente di convocar la Concione. Invero senza questa adunanza intender, o imaginar non si può, come le faccende più gravi di salto si portassero tutte alla Concione tumultuaria, onde si maturassero in mezzo ad una irregolar turba d'uomini gli affari importanti, i quali anche nel corso de' primi secoli con proporzione alle circostanze non mancarono». «Ben è vero, che l'acclamazione, o riprova universale, accertando del comun senso i Tribuni, era talvolta a loro regola necessaria per deliberare diversamente: ed è altresì vero, che, come ce lo mostrano li fatti scritti nelle nostre Storie, qualora o tra se discordavano nella opinione i Tribuni, o la prudenza loro non volea lasciar sopra se stessi qualche gravissima faccenda, convocavano la Concione per parteciparlo ad essa».

L'elezione dei tribuni, però, si teneva senz'altro in "piccoli Arengo" propri di ogni isola: la trattazione degli affari giudiziari di ogni comunità avveniva davanti a questi tribuni elettivi a durata annua, né il rapporto diretto che li legava al popolo avrebbe consentito forme mediate ed esclusive di investitura. Questa ricostruzione trova ampio riscontro in quella del più illustre tra gli studiosi di storia veneta. Un secolo dopo Sandi, Romanin scrive: «Per la venuta di Attila e per la distruzione di Padova, il legame che teneva unite le isole a questa città e alle altre del continente, venne naturalmente a sciogliersi e gli abitanti di quelle, costretti a provvedere da sé, passarono a nominare nei propri comizi i Tribuni, onde accreditata Cronaca (c.d. Barbaro), ponendo nell'anno 466 la loro creazione, dice: `che si riducevano in Grado e s'istituì una repubblica, composta dei membri di tutte quelle isole. E questo fu il primo passo dell'autonomia veneziana, questo il principio del governo democratico nelle Isole, non già che i profughi deliberatamente s'accordassero d'instituire una repubblica democratica, ma venne essa a formarsi come conseguenza naturale del diritto, che quelli già aveano nelle loro città natali, di concorrere alla nomina dei propri magistrati».

All'istituzione di capi elettivi nel V secolo, seguì dunque il formarsi della federazione nel VI, che confluì nel Dogado all'alba dell'VIII. «Ma venuti in Italia i Longobardi ... l'elezione dei Tribuni nei comizi delle Isole venne sancita solennemente; e nei migliori cronisti troviamo ricordato a quest'epoca lo stabilimento regolare di quella magistratura. Difatti s'intitolavano allora i Tribuni: Noi Tribuni delle Isole Marittime, preposti dalla università di quelle, a dimostrare l'elezione essere stata fatta di piena autorità degl'isolani senza riguardo alle città madri. Il Sagornino comincia da quest'epoca il suo racconto e registra l'elezione dei Tribuni insieme colla dichiarazione di Grado a metropoli, anzi, dicendo che il governo tribunizio durò centocinquant'anni, conduce appunto a stabilirne il principio alla metà circa del secolo VI».

L'originaria indipendenza. A questo sistema di governo (stato di polizia), Sandi annette un alto significato: «Punto però decisivo è l'assoluta verità: che i Tribuni dell'Isole non furono istituiti, né eletti o dagli Ostrogoti, o dagl'Imperadori Orientali ... all'incontro convengono gli Scrittori, che gl'Isolani crearono a se li Tribuni; singolar prova di indipendenza, quando cangia a se stesso un popolo la polizia ad arbitrio. E se per toglier fede al consenso in ciò degli Scrittori Veneziani, loro si imputasse l'essere di nazionali; non si allegò giammai da alcuno ventina prova, che siano stati istituiti, e poi scelti successivamente i Tribuni dai Re Goti, molto men dai Longobardi, o dagli Esarchi; né si ravviserà documento nelle Storie di Costantinopoli, di Ravenna, o di Pavia, che da codeste Corti siano stati spediti Tribuni a regger l'Isole, che siasi data agl'Isolani la prima facoltà di crearli ... o sia ricorso il corpo civile Veneziano a quelle soglie per riceverne autorizzazione» .

Il nostro autore passa quindi ad esporre il processo che portò all'istituzione del Dogado: vari storici da lui ripresi ne indicano l'ispiratore in Cristoforo, patriarca di Grado. La più forte esigenza che la nuova forma di Stato doveva fronteggiare era la difesa del territorio - vulnerabile ad attacchi sia dal mare, sia da terra (attraverso i fiumi) - che il governo tribunizio non aveva apprestato al meglio: vengono ricordati il saccheggio di Grado da parte di Fortunato, vescovo di Aquileia, e l'assalto di Jesolo ed Eraclea ad opera di Lupo, figlio del duca di Friuli, occasioni in cui fu perso tempo prezioso a disputare sul comando delle operazioni. Inoltre, egli rileva acutamente il pericolo di una deriva oligarchica insito nel sistema politico tribunizio: all'instabilità di un sistema che vedeva equiparati centri di dimensioni diverse, dovevano concorrere inevitabili rivalità tra famiglie. Si rispose, quindi, a quelle impellenti esigenze attraverso l'unità politica, incarnata nella figura monocratica del Doge, che Sandi tuttavia afferma non aver mai goduto di poteri decisionali equiparabili a quelli di un sovrano.

Nei primi due secoli del Dogado il tribunato non scomparve: solo verso la fine del IX secolo se ne perdono le tracce nella documentazione storica, poiché venne soppiantato dal gastaldato; tra il Millecento ed il Milleduecento, invece, subentrò un ben più solido sistema politico incardinato nei consigli . Riguardo al titolo di Doge, Sandi svolge una serie d'osservazioni ancor oggi utili a contrastare le "congetture" (come egli le chiamava) ventilate per dimostrare falsamente che il Dogado - prima del Mille - derivò la sua autorità da una potenza straniera. Quella di duca era all'epoca una carica che presentava caratteristiche del tutto diverse da zona a zona ed era concessa da vari sovrani: infatti, Bizantini e Longobardi avevano investito vari duchi nei territori da loro occupati'. Nelle Venetiae la scelta della forma di governo fu invece operata dall'Arengo, sin da principio orientato ad evitare qualsiasi riferimento (anche formale) ad un potere monarchico. «Sembra tuttavia, che i Veneziani nati, e cresciuti liberi, nel dar titolo alla loro prima dignità non dovessero sceglierne una che rendesse senso equivoco di soggezione; quando anzi avrebbero dovuto anche nel nome esser gelosi custodi eziandio del materiale aspetto di libertà ... vuoi ragione che si asserisca: essersi appunto preso il titolo Ducale, come il meno assoluto, e il più luminoso dopo il Regio».. «Vedesi istituito nel Doge un Preside e un Capo visibile de' Magistrati di allora, de' Consessi Tribunizj, e delle Concioni; né già si ravvisa ulterior podestà, che di presidenza ... conseguenza di ciò ... fu la giurisdizione appresso lui di far eseguire ciò, che dai Tribuni fosse deliberato, o assentito in Concione; nel che si riconosce la radice delle leggi, e costumanze di oggidì; vedendosi gli atti pubblici di cadaun Consiglio iscritti col titolo, e nome del Doge, come Capo degli stessi. Riguardo ai giudicj poi; non aboliti i Tribuni, uno restatone in ciascun'Isola, rimase loro il far ragione nelle liti private, come la faceano avanti il Dogado. S'istituì però nel Doge il diritto delle appellazioni dalle sentenze de' Tribuni, come Giudice definitivo nelle controversie private. Né però anche in questo eran despoti i Dogi, ma sudditi a quelle leggi, che non poteano abrogare ... prova di ciò è il giuramento, che ben tosto dalla creazion del Dogado si istituì doversi prestar dai Dogi, con che si obbligano oltre il vincolo civile anche con quello di Religione alla osservanza delle leggi fatte, e da farsi, rimanendo esclusa la illimitata facoltà d'arbitrio».

In questi ultimi due secoli, il luogo comune della dominazione bizantina ha trovato ossequiosi quasi tutti gli storici per accreditarlo, gli accademici italiani si sono cimentati in opere lunghe talvolta mezzo migliaio di pagine, gareggiando tra loro nel demolire le testimonianze dei più antichi scrittori veneti e senza, peraltro, portare a loro sostegno l'ombra di una prova. «Il persistere del lealismo bizantino ufficiale è evidente nel testamento di Giustiniano Particiaco (829): `imperantibus dominis nostris piissimis, perpetuis augustis, Michaele et Theophilo... ego quidem fustinianus, imperialis hypatus et dux Venetiarum province' - il titolo aulico colloca il duca della provincia delle Venezie in una scala gerarchica determinata ... é appena il caso di ricordare come la concessione di titoli aulici ai duchi degli sparsi resti dei domini bizantini in Italia, rientrasse nel piano di una consapevole e calcolata politica bizantina diretta a contenere le istanze autonomistiche locali. Il Pertusi ha addirittura potuto redigere una lista sinottica di titoli aulici concessi a Napoli, Venezia, Amalfi e Gaeta, in cui colpiscono le sincronie nell'evoluzione del cursus honorum».

In verità, la pressione longobarda, sullo scorcio del VI secolo, diede adito all'alleanza veneto-bizantina, portando Venezia ad entrare, con un ruolo di primo piano, nell'area d'influenza dell'Impero greco. Solidi motivi politici ed economici dimostrarono la bontà di questa scelta nel corso dei secoli, ma l'alleanza si incardinò sempre tra Stati indipendenti. Seguendo l'uso dell'epoca, venivano osservate speciali formalità nei riguardi dell'Imperatore, volte a riconoscere il suo prestigio; così il basileus era considerato l'alto signore, come testimonia l'uso di porre il suo nome ed il suo anno di regno in testa a tutti i documenti notarili. La nobiltà veneziana e la corte bizantina intrecciavano stretti rapporti che andavano a reciproco vantaggio in termini di potere, onore e ricchezza' ed i titoli concessi al Doge, come Capo di Stato, avendo un valore politico, concorsero all'ascesa della Repubblica.

Agli storici del diritto sembra sfuggita l'eterogeneità di quei sistemi istituzionali che si pretenderebbero instaurati da Bisanzio ín Italia; si dimentica che a Napoli tutto il potere giudiziario era nelle mani del dux, mentre a Venezia la pronuncia della sentenza era riservata ai giudici, in seno all'assemblea popolare; d'altronde a Napoli un organo di rilevanza costituzionale pari al veneto Arengo, neppure operava. Sulla scorta del Chronicon Altinate, Romanin ha, infine, ricostruito le circostanze che avvicinarono Veneti e Bizantini: nell'anno 584, l'Esarca Longino in partenza da Ravenna decise di passare per le lagune con l'intento di caldeggiare un accordo tra il suo signore ed il governo tribunizio, poiché al generale Narsete la rete difensiva veneta in laguna era stata descritta come inespugnabile agli attacchi longobardi. L'Esarca consigliò ai Veneziani di rivolgere all'Imperatore una proposta di trattato, con cui si sarebbero impegnati a muovere in armi quando la situazione lo avesse richiesto; in cambio ne avrebbero ricavato la protezione imperiale in termini di privilegi commerciali, restando esenti dal giuramento di fedeltà e da qualsivoglia atto di sottomissione. Promosso da così autorevole intervento, l'accordo fu un successo: l'Imperatore accolse con lodi i maggiorenti veneziani che a lui recarono la proposta deliberata dal governo veneto.

Nessuno scrittore greco, né i documenti imperiali fecero mai alcun cenno ad un'ipotetica sudditanza veneta. «Ciò dimostrano i successivi avvenimenti imparzialmente giudicati; ciò la piena libertà nelle riforme fatte al proprio governo e nelle leggi senza intervento di alcuna potenza straniera; ciò le guerre spontaneamente intraprese, i trattati conchiusi. Per tal modo tutto si spiega naturalmente e con progressivo sviluppo, come vuole il confronto delle notizie a noi pervenute, e insegna il corso razionale e storico degli avvenimenti».

Estratto da "http://it.wikipedia.org/wiki/Discussione:Repubblica_di_Venezia"

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