Matrimonio (diritto canonico)
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PREMESSA: MATRIMONIO NATURALE E SACRAMENTALE. Il matrimonio, secondo la costruzione dogmatica giuridico-canonica, si configura come istituto di diritto naturale elevato a sacramento. Considerando, infatti, il can. 1055 c.i.c. (il primo e fondamentale dei 110 canoni che disciplinano le nozze), si nota la preesistenza di una realtà matrimoniale rispetto alla relativa istituzione sacramentale da parte di Gesù Cristo: "Il patto matrimoniale [...] è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento". Pertanto, allo stato di natura, che concerne gli uomini come tali - a prescindere cioè dalla loro qualificazione come credenti o meno -, esiste la possibilità giuridica (come tale creatrice di diritti ed obblighi) per due soggetti di sesso diverso di legarsi in modo tendenzialmente stabile al fine di vivere insieme. Se si richiama il diritto romano, pagano e dunque irriferibile alla concezione matrimoniale tipica della Chiesa cattolica, quanto appena asserito emerge con una certa chiarezza, ad esempio, dalla celebre definizione di Modestino (prima metà del III secolo): "nuptiae sunt coniunctio maris et feminae et consortium omnis vitae, humani et divini iuris communicatio". Secondo l'esponente della c.d. giurisprudenza classica, quindi, il matrimonio può essere stipulato (solo) da un uomo e una donna, tra i quali sorge un'unione destinata a durare tutta la vita e disciplinata, come comunione, dal diritto umano e divino. Diritto divino, è da precisare, che non è, almeno ad mentem Modestini, quello presentato come tale dalla Chiesa. L'opera di Cristo, di esaltazione del matrimonio ad un livello sacramentale (quindi di segno efficace di salvezza), si inserisce allora in questo quadro. Sono le nozze, contemplate come vincolo impegnativo dallo stesso diritto naturale, che - se celebrate "tra i battezzati" (cf. ancora il canone prima citato) - divengono, non solo scelta di uno stato di vita (per usare la terminologia propria della canonistica), ma addirittura mezzo di perfezionamento morale e religioso: in altri termini sacramento, ossia specifico strumento creato da Gesù per la salvezza (santificazione) degli uomini ed affidato alla Chiesa.
IL PATTO MATRIMONIALE. Parametrando il discorso sempre sul can. 1055, cit., il matrimonio sorge in base ad un “patto” tra i nubenti. Deve, conseguentemente, distinguersi - concettualmente e fenomenicamente - il matrimonio-atto (o patto) dal matrimonio-rapporto: il primo infatti è la genesi del secondo, che è dunque legato all’altro da un nesso di effetto-causa. Appare quindi oltremodo eloquente la nomenclatura tradizionale, che parla di matrimonium in fieri (in riferimento al matrimonio, appunto, nel suo nascere) e di matrimonium in facto esse (rispetto alle nozze nella loro effettiva e compiuta realizzazione nonché manifestazione in termini di relazione coniugale). Il legame (atto-rapporto) appena presentato è, peraltro, già noto ai romani (autori del brocardo “consensus facit nuptias”) e, nel medioevo, ad esempio, a Tommaso d’Aquino, secondo cui “causa efficiens matrimonii est consensus [...] expressus”: il consenso esplicitato, esposto all’esterno del mondo psichico dei contraenti, è la vera (e unica !) fonte del matrimonio. Unica fonte, attesa la stessa natura del matrimonio, giuridicamente qualificato come atto personalissimo, ossia come esclusiva espressione della coscienza e volontà nuziale degli sposi; i quali, peraltro, anche sub specie sacramenti sono gli unici ministri del matrimonio (chi - normalmente un sacerdote - assiste alle nozze, infatti, è un mero teste qualificato). Allora, che il matrimonio possa essere siglato solo dai nubendi è del tutto evidente: non si può legare, invero, la vita di una persona a quella di un’altra in base alla volontà di un terzo. Così, sembra per certi versi pleonastico il contenuto del can. 1057, § 1, per il quale il consenso “non può essere supplito da nessuna potestà umana”. Appunto per questo potere insostituibile di cui sono titolari i nubendi, l'oggetto del consenso matrimoniale è costituito dalle stesse persone dei contraenti: i due, cioè, si vogliono irrevocabilmente prendere come uomo e come donna specifici ed individui nonché come marito e moglie. Il consenso nuziale, pertanto, attiene alle medesime persone dei contraenti (con i loro pregi e difetti: le loro complesse personalità) e con la finalità della realizzazione del matrimonio (cf. can. 1057, § 2°). Il consenso, quindi ed inoltre, non può che essere "actus voluntatis": azione consapevole ("nihil volitum nisi praecognitum"), libera e volontaria (cf. ancora can. 1057, § 2°, primo segmento), con cui due soggetti-fedeli uti singuli intendono unirsi in communitate omnis vitae, determinando - com'è stato autorevolmente sostenuto - una "unità nelle nature" degli sposi stessi.