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Licenziamento - Wikipedia

Licenziamento

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Il licenziamento è l'atto con il quale il datore di lavoro recede unilateralmente dal contratto di lavoro con un suo dipendente.


Indice

[modifica] Obbligo della forma scritta

Ogni licenziamento, esclusi rari casi (come il licenziamento della colf), per essere valido, deve essere comunicato obbligatoriamente in forma scritta. Secondo costante giurisprudenza, infatti, la forma scritta del licenziamento è richiesta ad substantiam, in base all’art. 2 della legge n. 604/66, anche dopo la riformulazione di questa norma operata con la legge n. 108/90. Sia l’intimazione del licenziamento che la comunicazione dei relativi motivi (ove il lavoratore ne abbia fatto richiesta) devono, a pena di inefficacia, rivestire la forma scritta, con la conseguente irrilevanza di una intimazione e di una contestazione espressa in forma diversa e della conoscenza che il lavoratore ne abbia altrimenti avuto. In particolare l’art. 2 della legge n. 604/1966 esige che lo scritto, da utilizzare come strumento di comunicazione, non solo sia espressamente diretto all’interessato, ma sia anche a lui consegnato, con la conseguenza che è inidonea a realizzare la comunicazione scritta voluta dalla legge la conoscenza che il lavoratore abbia avuto altrimenti del licenziamento.

A seconda del numero di dipendenti interessati, il licenziamento può essere individuale o collettivo. Ci occupiamo qui del licenziamento individuale.

[modifica] Giustificato motivo o giusta causa

Il licenziamento può avvenire per giustificato motivo o per giusta causa (art. 1 l. 15 luglio 1966, n. 604; art. 18 dello Statuto dei lavoratori). Il licenziamento per giustificato motivo può essere:

  • soggettivo: quando il lavoratore non adempie ai suoi doveri di legge e di contratto;
  • oggettivo: quando l'azienda per vari motivi non ricava più utilità dal lavoro svolto da quel dipendente, o in generale, da una categoria di dipendenti. Ciò accade quando ad esempio viene eliminata una sezione dell'azienda, in caso di riduzione del personale o di ristrutturazioni aziendali.

Il datore di lavoro, che adduca a fondamento del licenziamento la soppressione del posto di lavoro cui era addetto il lavoratore licenziato, ha l’onere di provare che al momento del licenziamento non sussisteva alcuna posizione di lavoro analoga a quella soppressa alla quale avrebbe potuto essere assegnato il lavoratore licenziato per l’espletamento di mansioni equivalenti a quelle svolte, tenuto conto della professionalità raggiunta dal lavoratore medesimo, e deve inoltre dimostrare di non avere effettuato per un congruo periodo di tempo successivo al recesso alcuna nuova assunzione in qualifica analoga a quella del lavoratore licenziato.


Il datore di lavoro che licenzia per giustificato motivo è tenuto a dare un periodo di preavviso, stabilito dai contratti collettivi; in mancanza del quale al lavoratore spetterà un'indennità di mancato preavviso, pari alla retribuzione che gli sarebbe spettata con il periodo di preavviso.

Si ha licenziamento per giusta causa o in tronco quando la prosecuzione del rapporto di lavoro non è più possibile, nemmeno provvisoriamente, ad esempio (ma non solo), in caso di:

  • Furto da parte del dipendente di attrezzi o altro materiale aziendale;
  • Danneggiamento dei macchinari;
  • Assenze ingiustificate oltre 3 giorni;
  • Ripetuti ritardi ingiustificati;
  • Ubriachezza, comportamento scorretto o offensivo verso gli altri colleghi.

Il licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo possono avvenire solo dopo che al lavoratore "è stato contestato l'addebito" per iscritto, ovvero solo dopo che il datore di lavoro ha contestato al lavoratore il comportamento scorretto e gli ha dato il tempo di presentare le sue giustificazioni. Le giustificazioni del lavoratore devono essere presentate nel termine di giorni 5 dalla ricezione della lettera di contestazione disciplinare.

Affinché il licenziamento disciplinare possa ritenersi revocato ed il rapporto di lavoro ricostituito, non è sufficiente in mero invito a riprendere servizio rivolto dal datore di lavoro al licenziato, ma è necessario un accordo che presuppone corrispondenza fra proposta e accettazione (Cassazione Sezione Lavoro n. 11664 del 18 maggio 2006 Pres. Mileo, Rel. D’Agostino).

Invece, il licenziamento per motivi oggettivi deve essere sì comunicato per iscritto ma non c'è obbligo di dire subito le motivazioni: è il lavoratore che può richiedere, entro 15 giorni dal ricevimento della comunicazione di licenziamento, le motivazioni; in questo caso il datore di lavoro ha un massimo di 7 giorni per fornire le motivazioni, in mancanza delle quali il licenziamento è nullo.

[modifica] Licenziamento dei dirigenti

Diversa è la situazione per i dirigenti. Ove vengano dedotte esigenze di riassetto organizzativo finalizzato ad una più economica gestione dell’azienda – la cui scelta imprenditoriale è insindacabile nei suoi profili di congruità e opportunità – il licenziamento del dirigente non è ingiustificato, tale potendo considerarsi solo quello sorretto da un motivo che si dimostri pretestuoso e non corrispondente alla realtà, ovvero tale che la sua ragione debba essere rinvenuta unicamente nell’intento del datore di lavoro di liberarsi della persona del dirigente e non in quello di perseguire il legittimo esercizio del potere riservato all’imprenditore di riorganizzare le risorse umane in modo da consentire una gestione non in perdita dell’azienda. Tuttavia, un contratto collettivo può validamente limitare la possibilità di licenziamento del dirigente alle ipotesi di “giusta causa” e di “giustificato motivo soggettivo”. In tal caso deve escludersi che il licenziamento possa essere motivato con riferimento ad esigenze organizzative. Il recesso dell’azienda per ragioni non previste dal contratto collettivo non può peraltro ritenersi inefficace (con conseguente affermazione della permanenza del rapporto), onde al dirigente deve essere riconosciuto in tal caso soltanto il diritto alla tutela indennitaria.

[modifica] Impugnazione del licenziamento

Per opporsi al licenziamento illegittimo è necessario impugnarlo entro 60 gorni dalla comunicazione del recesso del datore o (se richieste) delle motivazioni (art. 6 l. 604/66). Se il licenziamento non è impugnato, si decade dalla possibilità di richiedere al Giudice del lavoro l'annullamento del provvedimento datoriale. L'impugnazione si può proporre con ricorso al Tribunale in funzione di Giudice del lavoro. Può essere proposta, tuttavia, "con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore" di impugnare il licenziamento. Il lavoratore, impugnando un licenziamento ingiustificato, ha il solo onere di dedurre e provare il rapporto di lavoro e il licenziamento; mentre il datore di lavoro ha l’onere di eccepire e provare l’esistenza del giustificato motivo e le dimensioni dell’impresa o dell’unità produttiva autonoma, siccome fatti impeditivi o limitativi del diritto fatto valere dal lavoratore.

Il ricorso si promuove (anche con l'aiuto del sindacato) dinanzi al Tribunale competente (giudice del lavoro). Se il giudice si pronunzierà per l'illegittimità del licenziamento, se cioè riscontrerà che il licenziamento non è sorretto da motivazioni valide, ci sono conseguenze diverse a seconda delle dimensioni dell'azienda.


[modifica] Tutela differenziata secondo le dimensioni dell'azienda

In caso di licenziamento illegittimo eseguito da un’azienda avente meno di 16 dipendenti, si applica in favore del lavoratore licenziato la tutela indennitaria, in quanto il datore di lavoro è tenuto, in base all’art. 8 della legge n. 604/66 a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni, o in mancanza, a risarcire il danno versandogli un’indennità di importo compreso fra un minimo di 2,5 e un massimo di sei mensilità (maggiorabile fino a dieci mensilità per il lavoratore con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il lavoratore con anzianità superiore ai venti anni). Ove, accertata l’illegittimità del licenziamento, il datore di lavoro non riassuma il dipendente, egli è tenuto al pagamento non solo dell’indennità nella misura stabilita dal giudice ma anche dell’indennità sostitutiva del preavviso. Tale indennità è incompatibile con la reintegrazione nel posto di lavoro disposta in base all’art. 18 St. Lav., mentre invece è dovuta in caso di applicazione della legge n. 604/66, per effetto della risoluzione del rapporto di lavoro (Cassazione Sezione Lavoro n. 13380 dell’8 giugno 2006, Pres. Sciarelli, Rel. La Terza).

Nelle aziende con più di 60 dipendenti oppure nelle unità produttive con più di 15 dipendenti il datore di lavoro viene obbligato a reintegrare il lavoratore al suo posto di lavoro, pagandogli tutte le retribuzioni mancate dal giorno del licenziamento illegittimo (con un minimo, in ogni caso, di 5 mensilità). Il lavoratore può scegliere di non tornare più a lavorare, ed accettare per questo un indennizzo di 15 mensilità. In questo caso, di aziende con più di 60 dipendenti oppure nelle unità produttive con più di 15 dipendenti, si parla di tutela reale.

Grava sul datore di lavoro l’onere di provare l’inesistenza del requisito occupazionale e perciò l’impedimento all’applicazione dell’art. 18 St. Lav.


Inoltre, è da ricordare che, talvolta, taluni datori di lavoro sono stati accusati di aver praticato tecniche di mobbing contro i lavoratori, per condurli alle dimissioni, che evitano tutti questi obblighi giuridici e al più possono essere impugnate dal lavoratore. Recentemente il mobbing è stato riconosciuto come atto illegittimo.

[modifica] Collegamenti esterni

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