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Strage della cartiera di Mignagola - Wikipedia

Strage della cartiera di Mignagola

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

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La Strage della cartiera Burgo di Mignagola, situata nel comune di Carbonera, provincia di Treviso, consistette nel concentramento, e nella successiva eliminazione violenta di alcune centinaia di persone, in buona parte accusate di essere criminali fascisti, ivi raccolte immediatamente dopo la fine della II guerra mondiale in Italia da una banda di delinquenti comuni e di individui poco prima attivi nelle file della Resistenza italiana.

Indice

[modifica] Premessa

Nel periodo successivo alla fine della guerra non tutte le unità partigiane smobilitarono e consegnarono le armi. In particolare, secondo alcune correnti storiografiche, le unità vicine al Partito Comunista sarebbero spesso rimaste in armi.

Il partito comunista pilotava con una nuova organizzazione, gran parte delle ex-brigate Garibaldi una politica di eliminazione delle persone che avrebbero potuto opporsi alla instaurazione di un governo simile a quello dei paesi dell'Est.

Inoltre vi era uno strascico di vendette personali, che andava oltre alla punizione dei criminali di guerra, per i quali il Comitato di Liberazione Nazionale e il governo che ne era espressione, avevano stabilito delle norme e dei tribunali speciali[1].

[modifica] Il fatto

I partigiani comunisti dopo la fine della guerra instaurarano alla "Cartiera Burgo" di Mignagola di Carbonera (Treviso) un campo di concentramento dove molte centinaia di persone, parte delle quali costituite da fascisti sarebbero state internate, quasi sempre torturati in modo efferato, e poi normalmente eliminate. Molto spesso i corpi sarebbero spariti nelle caldaie, dissolti nell'acido solforico sotterrati in luoghi nascosti, gettati in paludi o nei fiumi, in particolare nel Sile[2].

Fu possibile nel seguito del tempo, cessato il potere della organizzazione e restaurata una certa legalità, effettuare il seppellimento e la identificazione. Tuttavia solo per una piccola parte delle vittime, un centinaio circa, fu possibile l'identificazione.

[modifica] Casi particolarmente efferati

  • Gino Simionato detto «Falco», un partigiano comunista classe 1920, tristemente noto nel trevigiano per alcuni atti di sadismo compiuti insieme alla sua brigata, uccise personalmente a colpi di vanga da 32 a 37 prigionieri inermi. Il numero totale di persone uccise nella cartiera è vicino a quello delle vittime delle Fosse Ardeatine: Bruno Vespa, nel suo libro Vincitori e vinti[3], arriva a paragonare il Comandante Falco ad Erich Priebke, con la differenza che Priebke "aveva fama di essere un nazista fanatico [e] obbedì ad un ordine infame, Falco [invece] gli ordini li dette". Priebke fu condannato all'ergastolo, Simionato invece fu amnistiato dal giudice istruttore di Treviso il 24 giugno 1954.
  • L'oro della Banca d'Italia. Era stato sequestrato a Olmi di San Biagio di Callalta (TV) un carico d'oro di proprietà della Banca d'Italia, salvato dalla sede di Trieste da sette dipendenti al momento della occupazione di Trieste dai partigiani slavi. Il carico d'oro fu portato alla Cartiera di Mignagola con i sette salvatori. I partigiani li eliminarono, essendo scomodi testimoni, e l'oro scomparve, diviso tra i partigiani[4].

[modifica] Voci correlate

[modifica] Note

  1. I concetti di questo paragrafo vengono affermati più volte Giampaolo Pansa nella sua opera Il sangue dei vinti.
  2. Giampaolo Pansa - Il sangue dei vinti, pag. 190; Bruno Vespa, Vincitori e vinti, p. 170-171.
  3. Bruno Vespa - Vincitori e vinti, p. 171-174. Di Falco parla anche Pansa nella sua op. cit. a pag. 186 e seguenti.
  4. Giampaolo Pansa - Il sangue dei vinti, pag. 187-188

[modifica] Bibliografia

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