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Piano di Sant'Andrea (Genova) - Wikipedia

Piano di Sant'Andrea (Genova)

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Il Piano di Sant'Andrea - La piazzetta affacciata su salita Prione
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Il Piano di Sant'Andrea - La piazzetta affacciata su salita Prione
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«Quando si nomina la Bricicca, s'intende la bisagnina che sta sulla piazzetta della Pece Greca, di fianco all'Angelo Custode, quella che aveva tre figlie, perché a Genova ce n'è un'altra chiamata Bricicca che vende farinata a Pré, e le due non sono neppure parenti e neppure si conoscono ...»
(Remigio Zena, "La bocca del lupo")

Il Piano di Sant'Andrea (o Pian di Sant'Andrea, meno comunemente Piani di Sant'Andrea) è un luogo storico della Genova antica, situato sull'omonimo colle - detto anche colle del Brolio - delimitato dalle due alte torri che portano anch'esse il nome di Sant'Andrea e che racchiudono Porta Soprana (o Porta superana), nel medioevo il principale varco di accesso alla città.

In direzione del mare, il Piano di Sant'Andrea scorre lungo le mura - principio di fortificazione della città - che un tempo racchiudevano il nucleo antico cittadino e che oggi sono meta di visite guidate tese a ripercorrere, in un viaggio a ritroso nel tempo, da Campopisano a Sarzano, la storia della Genova dei dogi.

Dal Piano di Sant'Andrea si accede, attraverso il fitto dedalo di caruggi, alla pittoresca piazza delle Erbe - oggi fulcro della movida giovanile - e alla salita Pollaioli, in prossimità del Palazzo Ducale.
Attiguo al Piano è il quartiere di Ravecca (o della Marina), che si ritiene sia stato, assieme a quello dell'attuale piazza Sarzano, il primo nucleo abitato del capoluogo ligure.
Questa parte della città è ora sede di molti uffici della city che si affacciano sul moderno Centro dei Liguri attraversato dall'antico ponte di via Ravasco, ma tuttora caratterizzato da piccole botteghe artigiane e tipiche friggitorie nelle quali si possono gustare, assieme alle torte di verdura della cucina genovese, dell'ottima farinata di ceci o della focaccia con il formaggio all'uso di Recco.

Al Piano di Sant'Andrea e nella vicina Ravecca è ambientato quello che è il romanzo verista più conosciuto dello scrittore Remigio Zena, La bocca del lupo.
In tale romanzo il personaggio più caratterizzato è la Bricicca, figura diventata con il tempo molto popolare, quasi a diventare una maschera rappresentativa della cultura popolare locale.
Il lavoro di Zena (che di nascita non era genovese ma che a Genova legò e chiuse la sua vita, e il cui nome richiama quello della città espresso in dialetto, appunto Zena) fu trasposto per il teatro negli anni ottanta e messa in scena con protagonista un'attrice genovese, Lina Volonghi.

La Bricicca è dunque la classica figura di popolana genovese del XIX secolo, del tipo di quelle di cui si può avere testimonianza ormai solo attraverso le vecchie fotografie del tempo passato, molte delle quali scattate da un fotografo di Dresda attivo a Genova, Alfred Noack, che documentò la vita nel capoluogo ligure nel XIX secolo.

Indice

[modifica] Il Piano di Sant'Andrea nella letteratura

Raggiungibile attraverso salita del Prione, il Piano di Sant'Andrea ospitava fino agli anni cinquanta numerose case di tolleranza.
Tale ambientazione è bene descritta da Gino Piastra nel suo volume Luci ed ombre della Superba:

"Dal piano di Sant'Andrea, sull'imbrunire, salita Prione pare un immenso tetro imbuto ... ma ad un tratto i lumi s'accendono spandendo intorno una luce esangue ... l'intero quartiere si rianima di colpo, e viene invaso da fiotti di gioventù rumorosa, pellegrinante in cerca d'amore e di allegria".

L'aspetto di questa Genova per certi versi poco conosciuta ha colpito la fantasia poetica di numerosi scrittori legati alla terra di Liguria, e le professioniste dell'amore che animavano le notti del centro storico genovese sono state viste spesso da angolature diverse, in maniera però sempre letterariamente memorabile, come nel caso di Camillo Sbarbaro che ebbe a dedicare a queste donne versi di pietà:

"Vidi scendere a tastoni la scaletta dove uccellano / nell'ore piccole le veneri più economiche, una giovane / donna squallida. / Aveva una guancia orribilmente macchiata e /indossava ancora gli abiti del piacere. / Ai piedi della scaletta sorrise amaramente alla / sua debolezza. Quasi le sfuggì da ridere. / Ebbi l'impulso di manifestare pubblicamente / la mia simpatia per quella incosciente ... / Spettro vacillante la guardai traversar la strada, / supplicando con l'attitudine i tram di non schiacciarla".

Mentre Remo Borzini, nel suo volume Malamore, illustra in modo preciso il piacere amoroso di Genova, più scanzonato è il ricordo di quell'ambiente reso dall'editore Canesi in una prefazione al libro di Giancarlo Fusco Quando l'Italia tollerava:

"Avevamo pochi soldi, a quei tempi. A sedici, diciott'anni, nessuno parlava di automobili e motorette: tutt'al più ci si "attaccava" al tram, per tramutare gli spiccioli del biglietto in sigarette; uno solo di solito, stando ai mezzi economici, poteva "comportarsi da uomo" laggiù, nel vicolo del Pomino, da cui traeva il nome la "casa" preferita da noi, lire dieci, frequentata da studenti, ufficiali della marina mercantile, commercianti ... Un rapido torneo ai "tre pezzi" o a "scassaquindici" o una ancor più rapida "conta" decidevano del fortunato. Per gli altri "flanella" ...".

[modifica] Il convento e la chiesa di Sant'Andrea

Casa e chiostro di Colombo
La casa di Colombo e la Porta Soprana
Casa di Cristoforo Colombo


A testimonianza dell'antico edificio che si ritiene sia stato la casa di Cristoforo Colombo, ovvero la dimora in cui visse per qualche tempo la famiglia del navigatore (immagine a sinistra) è rimasto il chiostro (immagine a destra) che faceva parte del convento di Sant'Andrea, edificato a metà del XII secolo e di notevole importanza per i suoi elementi precocemente gotici.
Non era, come appare evidente, un elemento isolato ma una parte d'un muro di case di vicolo che strapiombava in vico dritto Ponticello (Vico drito Pontixello).
La casa nella quale si presume abbia abitato la famiglia del navigatore, situata poco distante, andò distrutta in un incendio e quella che sorge ora al suo posto è frutto di una ricostruzione - sia pure fedelissima - avvenuta in tempi più recenti.

Da alcune vecchie fotografie si può osservare come dal Piano di Sant'Andrea partisse un vicoletto che conduceva all'antico convento e alla chiesa di Sant'Andrea, situata al limitare della collina del Brolio e demolita sul finire del XIX secolo in occasione della sistemazione della via XX Settembre (già via Giulia) e della adiacente via Dante.

Nel suo libro Colle di Sant'Andrea in Genova e le regioni circostanti, Andrea Podestà - storico sindaco di fine Ottocento, scrisse:

"Quel colle non molto elevato della nostra città che s'intitola a Sant'Andrea, ed allato al quale vedemmo fervere il lavoro di demolizione e di spianamento per aprire il varco alla nuova ed ampia via XX Settembre, era in tempi remotissimi un bosco o lucus sacro al riposo dei trapassati".

Il colle ospitava il complesso di Sant'Andrea che venne demolito per essere adibito a carcere, quel carcere nel quale la protagonista di Zena - la Bricicca - andava a rifugiarsi ogni volta che le scoprivano il banchetto del lotto clandestino.

[modifica] Vico dritto Ponticello e ponte delle conchette

La strada dove si affacciava la casa di Colombo - e che fa parte integrante del Piano di Sant'Andrea - è una piccola salita che esiste tuttora e che conduce da Porta Soprana alla sottostante piazza Dante.
Un tempo tale piccola salita era chiamata vico dritto Ponticello, nome gli derivava da un piccolo ponte posto proprio sopra il rio Torbido, che scorreva seminterrato, e che collegava la strada romana proveniente dal borgo di San Vincenzo con la stessa Porta Soprana.

Il ponte aveva il curioso nome di ponte delle conchette ed era così chiamato durante il XV secolo perché in quel punto venivano gettati i manufatti in ceramica rotti oppure difettosi provenienti dalle fabbriche poco lontane. Dal soprannome deriva l'antica espressione genovese che indica qualcosa di scadente "O no l'ha mai passòu o ponte de conchette" ("Non ha superato il ponte delle conchette").

Malgrado l'intervento dell'uomo e l'usura del tempo molte case di Ponticello e del Piano di Sant'Andrea conservarono, fino al sovvertimento della zona per la sistemazione della piazza Dante che chiude la via omonima, molti caratteri dei secoli XIV e XV e vestigia ancora più antiche, come quelle della casa d'angolo fra Borgo Lanaioli (ove si trovavano numerose botteghe di cardatori di lana) e il vico dritto Ponticello sulla quale fino al 1860, anno dell'unità d'Italia si potevano vedere alcuni anelli delle catene che chiudevano il porto di Pisa, repubblica marinara rivale, espugnato nel 1290 dai genovesi.

Il bassorilievo in marmo del 1280 che raffigurava il porto pisano - e che rimase collocato sulla suddetta casa fino alla sua demolizione - si trova ora nella chiesa di Sant'Agostino - situata accanto al museo omonimo - mentre gli altri anelli della stessa catena, che si trovavano su altri edifici, furono con l'unificazione nazionale restituiti alla città di Pisa.

[modifica] Il Barchile e le camalle d'aegua

Risale al 1642, anno in cui fu prolungato l'acquedotto civico fino a Cavassolo, l'istanza che gli abitanti di Ponticello fecero pervenire ai Padri del Comune affinché fosse costruita nella loro piazza una fontana - denominata Barchile - considerata indispensabile per i viandanti e gli uomini rurali che continuamente trafficano in detto quartiere.

Il Barchile di Ponticello
Il Barchile

I richiedenti si dissero disposti a contribuire alle spese e l'istanza venne accolta il 4 luglio di quell'anno; il 14 dello stesso mese il reverendo Cavazza effettuò il versamento della somma raccolta che ammontava a trecentocinquanta lire genovesi con il risultato che la pratica fu in breve tempo sbrigata e nel mese di agosto venne dato il primo acconto di cento lire per la fornitura dei marmi e la loro lavorazione ad opera dello scultore Gio Mazzetti.

La fontana venne terminata nel 1643 e collaudata dall'architetto Francesco Da Nove. Era costituita da una base a forma di cubo su cui era scolpito lo stemma della città. In alto zampillavano quattro fili d'acqua e sulla base appoggiava una colonna arabescata che reggeva la vasca, da cui usciva altra acqua, a forma di testa d'ariete, mentre un putto, in alto al centro, soffiava l'acqua da una conchiglia.
Al Barchile di Ponticello, così come alle altre fontane della città, attingevano l'acqua le cosiddette camalle d'aegua, le portatrici d'acqua, donne molto robuste e per la maggior parte della zona di Montoggio che, a pagamento, la consegnavano a domicilio a tutte quelle case che non possedevano il pozzetto o la cisterna privata.

Per la sua bellezza ed eleganza, questa fontana venne paragonata a quelle della Peschiere e di piazza delle Erbe; tuttavia, già nel 1876 venne prospettata la possibilità di una sua rimozione in considerazione del fatto che aveva perso l'originaria utilità in conseguenza del trasferimento delle erbivendole da piazza Ponticello a via Fieschi, allora appena aperta. Inoltre, l'architettura era considerata un pericolo per i veicoli ed i carretti che salivano alla vicina basilica di Carignano. Rimase tuttavia al suo posto fino al 1935, quando fu decisa una nuova ristrutturazione della zona, per poi essere trasferita definitivamente nel cortile di levante del Palazzo Ducale, dove si trova tutt'ora.

[modifica] Abitanti illustri

Vico dritto di Ponticello e il Piano di Sant'Andrea, in virtù della favorevole posizione di accesso alla città per chi arrivava dalla Val Bisagno, furono un luogo abitato da persone di rilievo.

[modifica] I notai

In prevalenza vi stabilirono i loro studi numerosi notai, tra i quali si ricorda Antonio Gallo che scrisse alcune opere latine tra cui "Cronache della Repubblica di Genova, comprese tra gli anni 1466 e 1478"; Andrea de Cario, Giacomo Bonvino (contemporanei di Gallo) e Bartolomeo e Giuseppe Rimassa, i cui atti vengono conservati nell'Archivio di Stato di via Tommaso Reggio.

[modifica] Gli artisti

Altri illustri abitatori del Ponticello si trovano anche nel campo dell'arte e della carità.
Il pittore Giovanni da Padova, che verso la fine del secolo XIV abitò nella zona, affrescò le pareti dell'ospedale che vi ebbe sede durante i secoli XIV e XV e famosa è la casa di Ponticello dell'intagliatore Anton Maria Maragliano, geniale artista di figure del presepe genovese e di sculture devozionali, definito da Carlo Giuseppe Ratti artefice che congiunge ad una rara perizia una esimia generosità d'animo e soavità di costumi. In tale casa, Maragliano morì il 7 marzo 1739.

[modifica] Il precursore delle scuole infantili

In Ponticello abitò nel 1757 Lorenzo Garaventa (fratello di Niccolò Garaventa, anch'egli filantropo ed istitutore), il quale un giorno appese alla sua porta un cartello con sopra scritto "Qui si fa scuola di carità", dando così l'avvio ad un'attività che, con l'aiuto di molti benefattori, ebbe in Genova un notevole sviluppo, ad esempio attraverso la fondazione di scuole per bambini come quelle che saranno istituite solo oltre vent'anni dopo, nel 1780, in Svizzera, da Johann Heinrich Pestalozzi, così come da Robert Owen in Inghilterra nel 1816 e da Ferrante Aporti in Italia.

[modifica] Bibliografia

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