Paradosso del mentitore
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Nella logica, il paradosso del mentitore descrive come, data una proposizione come "Questa frase è falsa", nessuno riuscirà mai a dimostrare se tale affermazione sia vera o falsa:
- se infatti fosse vera, allora la frase non sarebbe veramente falsa (la verità della proposizione invalida la falsità espressa nel contenuto della proposizione).
- se invece la proposizione fosse falsa, allora il contenuto si capovolgerebbe (è come se dicesse "Questa frase è vera") quando abbiamo appena affermato il contrario.
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[modifica] Il paradosso del mentitore: versione originale
Secondo alcuni, quello che oggi chiamiamo paradosso nacque con una nota affermazione di Epimenide di Creta (VI secolo a.C.), il quale, cretese egli stesso, ebbe a dire che [tutti] i Cretesi sono bugiardi; essendo come detto egli medesimo fra questi, anch'egli avrebbe dovuto conseguentemente essere bugiardo e perciò l'affermazione avrebbe dovuto essere falsa poiché proveniente da un bugiardo. Ma se così non fosse stato, se cioè Epimenide fosse stato un cretese che, almeno in questa occasione, non diceva il falso, l'affermazione sarebbe risultata ugualmente falsa poiché non tutti i cretesi erano bugiardi.
Non è tuttavia noto se l'affermazione di Epimenide fossa intesa come un paradosso del mentitore. Inoltre, la proposizione, così come è formulata, non è un paradosso: se infatti esiste almeno un cretese che dice la verità, allora l'affermazione di Epimenide è falsa senza portare ad alcuna contraddizione. Non conosciamo il contesto in cui Epimenide fece questa affermazione; fu solo più tardi che questa fu di nuovo citata (per esempio nella Lettera di San Paolo a Tito 1,12-13) e presentata come un paradosso del mentitore.
L'origine più accreditata del paradosso è dovuta ad Eubulide di Mileto (IV secolo a.C.), il quale riformulò l'affermazione di Epimenide dicendo "io sto mentendo". Da notare in primo luogo che la frase è "io sto mentendo", e non "io sono bugiardo", nel senso che "quello che sto dicendo in questo momento è una menzogna".
Con Eubulide si ripropone lo stesso dilemma di Epimenide: può essere vera la frase di uno che afferma "io sto dicendo il falso"? La frase di Eubulide non può essere vera, ma non può essere neanche falsa, perché c'è un elemento nuovo rispetto a tutti i Cretesi mentono.
L'elemento nuovo è l'autoriferimento: Eubulide sta parlando di sé stesso, cioè sta affermando di sé stesso che mente, e questo non può essere nè vero nè falso.
[modifica] Il paradosso del mentitore: elaborazioni successive
Dal paradosso del mentitore sono derivate elaborazioni diversificate di molti autori attraverso tutti i secoli, ed anche attualmente l'argomento è assai discusso.
Tra le più note riformulazioni del paradosso del mentitore vi sono:
1) quella di Aristotele (Confutazioni sofistiche (XXV)), il quale propose due quesiti di analoga contraddittorietà:
- è possibile giurare di rompere il giuramento che si sta prestando?
- è possibile ordinare di disobbedire all'ordine che si sta impartendo?
2) quella di Diogene Laerzio (II secolo d.C.): un coccodrillo ghermisce un bambino che gioca sulle rive del Nilo; la madre del piccolo implora il coccodrillo di restituirle il figlio, ma il coccodrillo fa la seguente proposta: "Se indovini quello che farò, ti restituirò il bambino". La madre allora dice al coccodrillo: "Credo che mangerai il piccolo". Se la madre ha detto il vero, se ha cioè indovinato che il coccodrillo vuole mangiare il bambino, allora in questo caso il coccodrillo ha promesso di restituire il bimbo. Ma se il coccodrillo restituisce il bimbo, significherebbe che non lo ha mangiato, e quindi la donna non avrebbe indovinato e non potrebbe salvare la vita del figlio. RISULTATO: in tutti i casi, se la madre dice "tu lo mangerai", non potrà mai riavere il figlio e il coccodrillo non potrà mai mantenere la promessa di restituirlo.
3) quella di Giovanni Buridano, o meglio Jean Buridan, filosofo francese morto di peste a Parigi nel 1358 o 1360. Fino a quell'epoca, durante la Scolastica, si era sempre pensato che i problemi logici derivanti dal paradosso del mentitore derivassero dal carattere di autoreferenza. Buridano dimostrò che il problema non era l'autoreferenza, elaborando un paradosso nel quale l'autoriferimento era per così dire spezzato in due. Egli immaginò due protagonisti, Socrate e Platone, ciascuno dei quali pronuncia una sola frase. Socrate dice "Platone dice il falso"; Platone dice "Socrate dice il vero". Vista isolatamente, ciascuna delle due frasi non è affatto paradossale, ma la loro congiunzione lo diventa. Se Socrate dice effettivamente il vero, allora Platone mente davvero e di conseguenza (contraddicendo alla premessa) Socrate dice il falso. Non è possible che la frase di Socrate sia vera e poi arrivare alla conclusione che è falsa.
4) quella elaborata da Miguel de Cervantes nel Don Chisciotte (1615), dove si narrava di Sancho Panza che divenne governatore di Barataria e si trovò a dover decidere sul caso accaduto ad un militare, messo di guardia su un ponte con l'ordine di impiccare tutti coloro che mentivano circa il motivo per cui volevano oltrepassare il ponte stesso. Il militare raccontava che un giorno era arrivato un tale cui fu chiesto perché voleva passare il ponte. A questa domanda, il tale rispose: "voglio attraversare il ponte solo per essere impiccato in base alla legge". Se fosse vero che costui voleva farsi impiccare, allora aveva detto la verità e quindi non doveva essere impiccato. Se stesse mentendo, e poi fosse stato impiccato, avrebbe detto la verità e avrebbe dovuto essere lasciato libero.
5) quella di Philip Jourdain, che nel 1913 riformulò il paradosso di Buridano eliminando il riferimento a personaggi celebri, ponendo semplicemente due affermazioni: "la frase seguente è falsa" e "la frase precedente è vera".
6) quella di John Cage, famoso musicista contemporaneo, che ha scritto un pezzo per pianoforte intitolato Composizione 4'33'', più famoso come Silenzio perché si esegue sedendosi dinanzi al pianoforte senza suonare nulla. Il messaggio dell'artista riguarda l'inesistenza del silenzio, perché anche senza suonare nulla, non c'è il silenzio assoluto ma si sentono dei rumori (gente in sala che parla, tossisce, ecc.). Da un punto di vista logico, il messaggio di Cage è non ho niente da dire e lo sto dicendo: questa è l'ennesima versione del paradosso del mentitore, perché chi non ha niente da dire sta zitto.
[modifica] Soluzioni al paradosso del mentitore
La soluzione data da Crisippo dice semplicemente che il paradosso è il rovesciamento del buon senso: ci sono frasi delle quali « Non si deve dire che esse dicono il vero e (neppure) il falso; né si deve congetturare in un altro modo, cioè che lo stesso (enunciato) esprima simultaneamente il vero e il falso, bensì che esse sono completamente prive di significato ».
La soluzione prospettata da Aristotele è la seguente: le frasi paradossali si fondano sulla confusione tra uso e menzione. Quando si dice "io sto mentendo", si sta usando la frase, nel senso che si tratta di un paradosso di tipo autoreferenziale, catalogato tra gli insolubilia; chi enuncia una frase insolubile, non dice letteralmente nulla e pertanto la proposizione (o meglio, la pseudoproposizione) deve essere semplicemente cassata.
Nel Medioevo, una proposta di soluzione fu avanzata da Guglielmo di Ockham (1285-1350). Dal momento che la cassatio di Aristotele non forniva una soluzione concreta, egli introdusse la distinzione tra linguaggio e metalinguaggio. Solo le frasi autoreferenziali mescolano i due livelli in uno solo, perché dire "io sto mentendo" è una frase che si pone nel metalinguaggio (per quanto riguarda il verbo mentire, il cui concetto trova spiegazione non nella frase stessa ma in un altro livello), ma è espressa mediante il linguaggio.
La proposta di soluzione di Buridano fu dettata dall'intuizione della logica temporale: un'affermazione non è vera o falsa in assoluto, ma solo relativamente ad un certo momento storico. Mentre non è possibile che una frase possa essere vera o falsa nello stesso tempo, essa può esserlo in tempi diversi: Basterebbe dire "Platone dirà il falso quando pronuncerà la prossima frase" e "Socrate disse il vero quando pronunciò la fase precedente".
Anche la logica presenta una soluzione, senza dover ricorrere a distinzioni filosofiche, grazie alle logiche a più valori, grazie ad un insieme di valori di verità più ampio rispetto al "vero o falso" della logica aristotelica: per esempio nella logica fuzzy, dove il valore di verità varia uniformememtne tra 0 e 1, tali frasi hanno un valore di verità pari a 0.5 .