Cuore di pietra
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Cuore di pietra | |
Autore: | Sebastiano Vassalli |
Anno (1a pubblicazione) : | 1996 |
Genere: | Romanzo |
Sottogenere: | Romanzo storico |
EDIZIONE RECENSITA | |
Anno: | 1996 |
Editore: | Einaudi |
Collana: | Supercoralli |
Pagine: | 286 |
ISBN: | ISBN 8806141899 |
Progetto Letteratura |
Cuore di pietra è un romanzo di Sebastiano Vassalli pubblicato nel 1996 dalla casa editrice Einaudi nella collana Supercoralli.
Indice |
[modifica] Struttura del romanzo
Protagonista del romanzo, a detta del narratore, è la grande Casa – in realtà un palazzo – che l'Architetto ha costruito per il conte Basilio Pignatelli. Questa si trova in una città
«piuttosto piccola che grande, piuttosto sfortunata che fortunata e però e nonostante tutto questo che s'è appena detto, piuttosto felice che infelice [...],»
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che dalle descrizioni si può identificare con Novara, città adottiva dell'autore, mentre la Casa non è altro che Villa Bossi, in cui ha anche vissuto per qualche tempo. In effetti il romanzo non contiene alcun riferimento preciso, bensì solo indicazioni sempre vaghe e indeterminate: spaziali, temporali o storiche che siano. La vicenda si svolge dalla costruzione della casa (all'epoca della spedizione dei mille) fino all'epoca contemporanea, ed è in realtà la composizione di decine di storie diverse, il cui filo comune o meglio pretesto è proprio la sedicente protagonista: attraverso queste vicende si toccano tutti gli eventi e le ideologie importanti della storia d'Italia a partire dall'unificazione, che viene così delineata e interpretata in maniera molto più puntuale di quanto lascerebbe supporre l'anzidetta indeterminatezza (il che permette di parlare di romanzo storico). L'autore non si nasconde dietro un narratore imparziale, silenzioso e invisibile, bensì fa sempre ben trasparire la propria interpretazione, anche se quasi sempre in modo molto discreto, generalmente attraverso i propri personaggi – e i loro discorsi riportati collo strumento del discorso indiretto libero –, ma anche con dei giudizi più o meno palesi dello stesso narratore.
Il romanzo è tutto un susseguirsi di personaggi e aneddoti molto specifici eppure archetipi, dipinti con maestria formando delle immagini delineate con pochi tratti e che cionnonostante sembrano balzare fuori della pagina, vive e reali più che mai: tutto ciò con una prosa icastica ed efficace, rapida e leggera, semplice ma non trascurata anche se quasi popolare (l'autore non si fa scrupolo di usare gli per loro, ad esempio).
[modifica] L'Architetto, il Tempo e gli Dei
Quasi tutti i personaggi sono animati dalla velleità di fare qualcosa che lasci segni duraturi nel tempo, ma falliscono sempre perché o non riescono a concludere nulla o comunque quello che fanno viene vanificato. Il primo - e forse il più importante - personaggio di questo tipo è l'Architetto (identificabile in Alessandro Antonelli), che non fa altro che progetti incredibilmente grandiosi ed esagerati, per di più senza chiedere il parere del committente, in nome dei superiori fini dell'Arte, che in realtà sono solo quelli del suo ego personale.
All'inizio del libro comincia la sua opera nella città conquistandosi l'incarico di aggiungere una cupola alla chiesa, grazie al prestigio di cui gode in forza della raccomandazione del re, che in realtà gliel'ha concessa solo per liberarsi di lui e del suo faraonico progetto di reggia, che aveva rifiutato scandalizzato dicendogli che gli avrebbe attirato il cachinno di tutti i sovrani d'Europa. Però l'Architetto esaurisce tutto il denaro fornitogli dal municipio nel rinforzare le pareti prima, e poi (dopo un rifinanziamento) per costruire due ordini di colonne, così che non riesce ad arrivare alla grandiosa cupola che aveva progettato. Ripiega allora sul conte, e di fatto l'inganna costruendogli un costosissimo ed enorme palazzo che il conte non vuole affatto e che lo dissangua prosciugandone il patrimonio; questo ancora una volta solo per i propri progetti: in questo caso, costruire un edificio in continuità colla (futuribile) cupola della chiesa da lui progettata.
La casa, nonostante tutti i sogni dell'Architetto, è destinata a una lunga decadenza, che la porterà ad essere divisa in quattordici appartamenti da affittare e poi – una volta donata dall'ultima erede a un'associazione di beneficenza che vorrebbe demolirla per costruire un palazzo di venti o trenta piani – ad essere abbandonata alla rovina e all'occupazione di una torma di abitatori abusivi immigrati (questa è anche l'esperienza personale dell'autore, che da anni cerca di ottenere che Villa Bossi sia restaurata).
Questo è solo uno degli esempi con cui l'autore mostra che la mania umana di rincorrere degli obiettivi eroici che lascino un segno è vana, perché il tempo cancella tutto, e in realtà non ha altro significato che questo (anche per ciò nel romanzo regna l'indeterminatezza e non ci sono riferimenti temporali precisi): gli Dei si divertono sommamente allo spettacolo degli uomini che si affannano in questo modo senza motivo. Questo è probabilmente il messaggio più importante che l'autore vuole comunicare, e che infatti è esplicitato nel prologo ma soprattutto nell'epilogo, entrambi titolati Gli Dei.
[modifica] Gli scienziati della rivoluzione
Un altro argomento cui l'autore dedica molto spazio è quello dei cosiddetti «scienziati della rivoluzione», che si incontrano varie volte nel corso del romanzo, nelle vicende di vari personaggi, che sono le vicende dell'Italia. Uno dei passaggi in cui la critica agli scienziati della rivoluzione è nell'omonimo 20° capitolo: la Grande guerra è appena finita e in tutta la penisola scoppiano ovunque scioperi a oltranza; le fabbriche vengono occupate; molti fienili vengono bruciati.
Qui Alessandro Annovazzi ha una discussione con quelli che chiama «scienziati della rivoluzione», cioè coloro che credono che il sistema capitalistico sia prossimo a crollare, che la borghesia scomparirà presto e poi il proletariato potrà finalmente prendere il comando, senza dover far altro che aspettare. Annovazzi contesta che «se si continua a gridare alla rivoluzione e non la si fa, si ottiene soltanto di far crescere l'odio...».
Un'altra critica alla rivoluzione si ha nel capitolo Più libri meno litri (16°), dove il deputato Antonio Annovazzi (padre di Alessandro Annovazzi) fonda una biblioteca per l'acculturamento dei poveri (la moglie Maria Maddalena Annovazzi vi terrà anche lezioni per alfabetizzarli): all'inaugurazione interviene addirittura Filippo Turati, che viene criticato da due ubriachi che propugnano invece la rivoluzione violenta dal basso, per la quale non servono i libri. Segue un discorso riformista di Turati che demolisce i progetti degli scienziati della rivoluzione, spiegando le critiche cui questi sono soggetti in vari punti del romanzo.
Ovviamente anche la biblioteca è destinata a finir male: sarà bruciata dai repubblichini, in una loro sanguinosa incursione in città dopo la costituzione della Repubblica di Salò.
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