Chiesa di Santa Maria Donnaregina
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La Chiesa di Santa Maria Donnaregina rappresenta una delle opere medievali piu importanti della città di Napoli.
Si trova nel centro antico della città nei pressi del Palazzo Arcivescovile e del Duomo di Napoli.
È anche chiamata Donnaregina Vecchia per distinguerla dalla omonima chiesa del XVII secolo (detta appunto Donnaregina Nuova).
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[modifica] La storia
Ha origini molto antiche (VIII secolo). A quel tempo è documentata l'esistenza di un complesso monastico presso il quale si erano stanziate alcune monache basiliane, chiamato San Pietro del Monte di Donnaregina.
Il convento passò prima all'ordine benedettino (seconda metà del X secolo), ed in seguito, dopo all'avvento del francescanesimo, le monache divennero clarisse. Documenti attestano che sin dall'anno 1006 il complesso fosse chiamato del Monte di Donna Regina.
Ciò smentirebbe le ipotesi che volevano il nome della chiesa derivante dalla promotrice della sua costruzione, Maria d'Ungheria, moglie di Carlo II d'Angiò.
Sotto Carlo I d'Angiò, il monastero fu adibito a prigione per l'internamento degli avversari di stirpe nobiliare della casa regnante. Nel 1293 un violento terremoto danneggiò seriamente la struttura e la regina volle elargire ingenti somme per la costruzione della chiesa che fu aperta al culto nel 1316 ed ultimata due anni dopo.
Alla sua morte Maria, che era anche madre di San Ludovico da Tolosa che rinunziò al trono di Napoli per entrare nell'ordine francescano, lasciò tutte le sue sostanze ai frati e nel 1323 le sue spoglie furono tumulate nel celebre monumento sepolcrale eseguito da Tino da Camaino e Gagliardo Primario.
Nel 1390 il tetto la chiesa fu danneggiato da un violento incendio, e lavori di restauro furono commissionato da Giovanna II d'Angiò anche in seguito a terremoti che si susseguirono nel XV secolo.
Nel secolo XVII, le monache fecero costruire una seconda chiesa, Donnaregina Nuova, e la vecchia chiesa rimase a lungo chiusa per lavori di consolidamento.
Nel 1860, il convento, che nel frattempo si era esteso verso la Porta San Gennaro, fu soppresso e le monache si trasferirono presso Santa Chiara, e due anni dopo la struttura fu acquisita dal comune per divenire sede di uffici, prima dell'opera di resauro terminata dalla sovrintendenza solo nel 1934.
Attualmente il convento è sede della Scuola di perfezionamento di restauro dell'Università di Napoli.
[modifica] L'interno
Entrando dal vico Donnaregina, si attraversa un cancello e ci si trova in prossimità dell'abside, poligonale con bifore altissime.
L'abside limita la navata centrale con soffitto a capriate in legno strutturale, secondo il classico schema di impronta francescana.
L'organizzazione spaziale della chiesa è singolare grazie alla particolarità delle tre navate perfettamente uguali nelle tre dimensioni spaziali. L'altezza del coro, da dove le monache assistevano alle funzioni religiose, e del pronao si conclude in uno slancio unico con l'altezza dell'abside stesso, avviando una particolarità architettonica che sarà in seguito osservata anche in alcune chiese tedesche.
[modifica] Il Sepolcro di Maria d'Ungheria
Lo splendido e superbo Sepolcro di Maria d'Ungheria, realizzato su commissione di Roberto d'Angiò, figlio della regina Maria per rispettare il volere della madre defunta di essere sepolta nel tempio da lei cosi fortemente voluto, è posto attualmente sulla parete sinistra della navata della chiesa.
La realizzazione fu del senese Tino da Camaino (giunto a Napoli nel 1324), assieme ad un altro artista probabilmente napoletano Gagliardo Primario.
La regina è raffigurata giacente sul sarcofago vestita con il saio francescano e sostenuta dalle quattro Virtù, con due angeli che aprono le cortine a mostrare il personaggio defunto e conferendo una intensità sprituale alla scena.
Il sarcofago presenta undici piccole nicchie con colonnine ad archi acuti e contenenti le statuette che rappresentano i figli della regina, tra cui San Ludovico di Tolosa, Carlo Martello e il nuovo reggente Roberto d'Angiò.
I mosaici azzurrini che ornano il sarcofago, sebbene sbiaditi, conferiscono all'insieme una tonalità cromatica che ne esalta la bellezza e la pacatezza.
[modifica] Gli affreschi trecenteschi
Gli affreschi di Donnaregina rappresentano un'opera fondamentale per la storia della pittura del Trecento a Napoli, per lo squisito gusto decorativo, per la vivacità cromatica e per la grande espressività figurativa.
Il ciclo di affreschi miracolosamente giunto fino a noi, e di recente restaurato, è opera di maestranze direttamente interessate all'arte del romano Pietro Cavallini, del senese Simone Martini e persino del grande maestro Giotto.
L'esecuzione degli affreschi può essere collocata tra il 1307 e il 1320 e si sviluppa su due piani in cui vengono rappresentate scene della vita di Cristo e degli Apostoli.
Al piano inferiore, oltre al famoso Giudizio Universale, vi sono diciassette Scene della vita di Cristo, cinque di Santa Elisabetta e quattro di Santa Caterina; al piano superiore sei scene della vita di Sant'Agnese.
Il restauro del 1934 ha consentito per questi affreschi un recupero dei colori originali ridando la possibilità di ammirare in pieno ciò che il tempo e l'incuria avevano messo a repentaglio.
A Pietro Cavallini sono da ascrivere quasi sicuramente le più riuscite raffigurazioni degli apostoli e dei profeti, nonché il Giudizio, opera di grande rilevanza rappresentata come da tradizione sulla parete di fondo del piano superiore.
Le raffigurazioni di San Lorenzo e Santo Stefano sarebbero da attribuire invece più verosimilmente a discepoli, forse napoletani, del maestro.
Da menzionare certamente sono anche gli affreschi delle pareti e del soffitto della Cappella Loffredo (costituita da un vano rettangolare coperto da volta a crociera a costoloni), sebbene incerti sia come datazione che come attribuzione.
Spunti giotteschi con reminiscenze bizantine sono stati rilevati in tali opere, come ad esempio nella Crocifissione della parete sinistra o nella Annunciazione posta sulla parete frontale all'ingresso.
Sulle due pareti laterali del coro delle monache sono rappresentate storie della vita di Cristo e scene della Passione, morte e risurrezione.
Il modo con cui questi ultimi affreschi sono composti rimanda agli affreschi giotteschi della basilica di S. Francesco d'Assisi e le ipotesi di attribuzione sono discordanti (Pietro Cavallini, Filippo Rusuti o Buccio).
Le Scene della vita di Santa Elisabetta sembrano avvicinarsi all'arte di Simone Martini e di Giotto, per nell'incertezza dell'attribuzione.
Stesse difficoltà di attribuzione vi sono per le Storie della vita di Santa Caterina e di Sant'Agnese, tuttavia secondo le più recenti ipotesi l'esecuzione di queste opere sembrerebbe da attribuirsi a Filippo Rusuti.
[modifica] Opere minori
Due affreschi che rappresentano La Crocifissione si possono ammirare ai lati dell'arco tronfale, forse l'uno la copia dell'altro.
Interessanti ancora i resti della pavimentazione dell'abside, in cotto maiolicato, un notevole esempio dell'arte ceramica napoletana in età angioina, databili tra la fine del XIV e l'inizio del XV secolo.
Affreschi di Francesco Solimena sono presenti in due locali attigui alla chiesa.
Tra le altre opere cosiddette 'minori' va annoverato un Martirio di Sant'Orsola e delle sue compagne del 1520 probabilmente eseguito da Francesco da Tolentino.
[modifica] Bibliografia
- I pittori alla corte angioina di Napoli (1266-1414), Ferdinando Bologna, (Roma - 1969)
- E. Carelli-S. Casiello - Santa Maria di Donnaregina a Napoli - Napoli (1975)
- A. Venditti - Urbanistica e architettura Angioina in La Storia di Napoli - Napoli (1969)
- G.A. Galante - Napoli sacra - Napoli (1872)
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