Armodio e Aristogitone
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Armodio (in greco Ἁρμόδιος/ Harmodios) e Aristogitone (in greco Ἀριστογείτων/ Aristogeitôn) sono gli Ateniesi tirannicidi che nel 513 a.C. o nel 514 a.C. cercarono di porre termine al potere personale della famiglia di Pisistrato.
Pisistrato riuscì nel 534 a.C., dopo vari tentativi (meno riusciti) negli anni passati, approfittando delle tensioni che laceravono la città, ad assumere su di essa un potere personale. Pisistrato è un tiranno, prese il potere con la forza, ma, a giudizio unanime degli storici, fra i quali Erodoto, Tucidide e Aristotele, non ne abusò per modificare le istituzioni di cui la città disponeva e governò più da cittadino che da tiranno. Quando morì nel 527 a.C.-528 a.C., i suoi figli Ippia e Ipparco gli successero. Ippia, il figlio maggiore, tendette a continuare nella politica paterna, Ipparco ebbe un ruolo minore nella tirannide, ma l'atteggiamento del regime mutò profondamente in seguito alla fallita cospirazione.
I fatti si svolsero nel 514 a.C.-513 a.C., a quattordici anni dalla morte di Pisistrato. Tucidide racconta che a far scattare la messa in atto della congiura vi furono motivi personali di tipo sentimentale. Ipparco s'invaghisce del giovane Armodio che, secondo quanto racconta lo storico Tucidide, "era allora nel fiore della bellezza giovanile", dal che si deduce che doveva avere 15 anni. Armodio era l'eromenos (giovane amante) di Aristogitone, descritto da Tucidide come "un cittadino di mezza età" - probabilmente aveva 35 anni e appartenente ad una delle vecchie famiglie aristocratiche.
Le relazioni sessuali fra un uomo più anziano (l' erastes) e un giovane erano di costume sanzionate ad Atene ed altre città greche, sebbene tali rapporti non fossero omosessuali nel moderno senso della parola, ma pederastiche. Certe relazioni erano governate da severe convenzioni, e le azioni di Ipparco per cercare di rubare l'eromenos di Aristogitone erano un deciso affronto alle regole. (Tucidide dice aspramente che Aristogitone "era il suo amante e lo possedeva".)
Ermodio rifiutò Ipparco e raccontò ad Aristogitone cos'era successo. Ipparco, rifiutato, si vendicò ottenendo che la giovane sorella di Armodio fosse esclusa dalla cerimonia di offerta alle feste Panatenee accusandola di non essere vergine come richiesto. Questa offesa fu così grande per la famiglia di Ermodio che egli insieme ad Aristogitone decisero di assassinare sia Ippia sia Ipparco e rovesciare la tirannia.
Il piano - che doveva essere portato a termine con pugnali nascosti nelle corone di mirto cerimoniali - coinvolgeva anche un certo numero di co-cospiratori, ma vedendo uno di questi salutare amichevolmente Ippia il giorno fissato, i Tirannicidi pensarono di essere stati traditi ed entrarono subito in azione, senza rispettare l'ordine che si erano dati. Riuscirono così ad uccidere Ipparco, pugnalandolo a morte mentre stava organizzando le processioni delle Panatenee ai piedi dell'Acropoli, ma perirono per mano delle guardie del tiranno senza scatenare ribellioni.
Aristotele nella Costituzione di Atene tramanda una tradizione che vede la morte di Aristogitone avere luogo solo dopo una tortura volta alla speranza che questi indicasse il nome degli altri cospiratori. Durante la sua agonia, personalmente sovrintesa da Ippia, questi finse benevolenza affiché egli tradisse i suoi co-cospiratori, sostenendo che solo un gesto del tiranno potesse essere garanzia di salvezza. Nel ricevere la mano di Ippia si reputa che l'eroe l'abbia criticato per aver fatto uccidere suo fratello, al che il tiranno lo girò e uccise sul posto. Allo stesso modo, una tradizione dice che Aristogitone fosse innamorato di una cortigiana (vedi hetaira) dal nome di Leæna (leonessa) che era ugualmente tenuta in tortura da Ippia - in un vano tentativo di costringerla a divulgare i nomi degli altri cospiratori - finché questa morì. Si diceva che era in suo onore che le statue ateniesi di Afrodite furono da allora accompagnate da leonesse dopo Pausania.
L'assassinio del fratello portò Ippia a stabilire una dittatura ancora più severa che si provò tuttavia molto impopolare e che venne rovesciata, con l'aiuto di un esercito proveniente da Sparta, nel 510 a.C.. Questi eventi furono seguiti dalle riforme di Clistene, che stabilì in città la democrazia.
La mitologia successiva venne così ad identificare le figure romantiche di Armodio e Aristogitone come martiri della causa della libertà ateniese, e divennero noti come i Liberatori (eleutherioi) e Tirannicidi (tyrannophonoi). Secondo scrittori successivi, ai discendenti di Armodio e Aristogitone furono concessi privilegi ereditari come la sitesis (il diritto di mangiare a spese pubbliche al palazzo del governo cittadino), l'ateleia (esenzione da certi doveri religiosi), e la proedria (posti in prima fila a teatro). Visto che non si sa se Armodio abbia avuto discendenti (è inverosimile che li abbia avuti anche Aristogitone), questa potrebbe essere un'invenzione seguente, ma illustra la loro fama postuma.
Dopo lo stabilirsi della democrazia, allo scultore Antenore fu commissionato un gruppo scultoreo dei Tirannicidi che fu eretto nell'Agora. Questo gruppo fu trafugato dai Persiani durante l'occupazione di Atene nel 480 a.C. (vedi Guerre Persiane) e restituito agli ateniesi da Alessandro Magno (secondo lo storico Arriano) o da Seleuco I Nicatore (secondo lo scrittore romano Valerio Massimo). Nel frattempo, comunque, i cittadini attici avevano commissionato nuove statue a Crizio e Nesiote che furono erette nel 477 a.C. circa.
Entrambi i gruppi di statue sono andati perduti, ma le opere più tarde furono oggetto di copia in epoca ellenistica e romana. Una di queste copie è oggi esposta al Museo Archeologico di Napoli. Essa mostra ritratti idealizzati dei due eroi: un Armodio nudo e sbarbato con un fisico molto più adulto di quello che avrebbe potuto avere, che spinge in avanti una spada co suo braccio sinistro alzato e ne tiene un'altra nella mano destra; anche Aristogitone, rappresentato con la barba, brandisce due spade ed ha un clamide poggiato sulla spalla sinistra. Delle quattro spade si sono salvate solo le else e la testa originale di Aristogitone è andata perduta, sostituita da un'altra che non si armonizza nell'insieme. Un altro tributo ai Tirannicidi era un inno cantato come canzone da bevuta (skolion) nei simposi, scritti da Callistrato, un poeta ateniese.
La storia di Armodio e Aristogitone, e come venne trattata dai successivi scrittori greci, è dimostrativa dell'attitudine nei confronti dell'omosessualità al tempo. Sia Tucidide che Erodoto dicono che i due erano amanti senza commentare il fatto presumendo la familiarità dei loro lettori con tale pratica sessuale istituzionalizzata senza trovarvi stranezze.
Nel 346 a.C., per esempio, il politico Timarco fu perseguito (per ragioni politiche) per il fatto che si era prostituito. L'oratore che lo difendeva, Demostene, citò Armodio e Aristogeitone, così come Achille e Patroclo, come esempi degli effetti benefici delle relazioni omosessuali.
La storia continuò ad essere citata come esempio ammirabile di eroismo e devozione per molti anni. Il fatto che le statue dei Liberatori venivano ancora copiate al tempo dei Romani dimostra la durevolezza della loro leggenda.
[modifica] Voci correlate
[modifica] Collegamenti esterni
- (EN) (FR) La storia di Armodio e Aristogitone. Da: Projet Androphile.